LA LEZIONE DEL 28 OTTOBRE…
…Ma potete star certi che in occasione della beatificazione di domenica prossima la Chiesa finirà di nuovo sul banco degli accusati…
di Antonio Socci
Il 28 ottobre prossimo in Vaticano saranno beatificati 498 martiri della feroce persecuzione religiosa esplosa in Spagna dopo il 1931 e specialmente fra il 1934 e il 1936. Una cerimonia di massa di tali proporzioni non ha precedenti. Aveva cominciato Giovanni Paolo II beatificando nel 1987 tre suore carmelitane che erano state crudelmente massacrate per le strade di Madrid. Poi papa Wojtyla celebrò altre undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 martiri spagnoli. Domenica prossima saranno dichiarati beati 2 vescovi, 24 preti, 462 religiosi e religiose, 2 diaconi, 1 seminarista e 7 laici, tutti vittime di quella persecuzione. Sarà l’occasione per conoscere una delle più sanguinarie tempeste anticristiane scatenate nell’Europa del nostro tempo ad opera dei rivoluzionari repubblicani (una miscela di comunismo, socialismo, anarchia e laicismo). "Mai nella storia d’Europa e forse in quella del mondo" ha scritto Hugh Thomas "si era visto un odio così accanito per la religione e per i suoi uomini". Chiese e conventi (con una quantità di opere d’arte) furono incendiati e distrutti. In pochi mesi furono ammazzati 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi, 283 suore e un numero incalcolabile di semplici cristiani la cui unica colpa era portare un crocifisso al collo o avere un rosario in tasca o essersi recati alla messa o aver nascosto un prete o essere madre di un sacerdote come capitò a una donna che per questo fu soffocata con un crocifisso ficcato nella gola.
Molti vescovi o sacerdoti sarebbero potuti fuggire, ma restarono al loro posto, pur sapendo cosa li aspettava, per non abbandonare la loro gente. Non colpisce solo l’accanimento con cui si infierì sulle vittime, inermi e inoffensive (per esempio c’è chi fu legato a un cadavere e lasciato così al sole fino alla sua decomposizione, da vivo, con il morto).
Ma colpisce ancora di più la volontà di ottenere dalle vittime il rinnegamento della fede o la profanazione di sacramenti o orribili sacrilegi. Qua c’è qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza. Faccio qualche esempio. I rivoluzionari decisero che il parroco di Torrijos, che si chiamava Liberio Gonzales Nonvela, data la sua ardente fede, dovesse morire come Gesù. Così fu denudato e frustato in modo bestiale. Poi si cominciò la crocifissione, la coronazione di spine, gli fu dato da bere aceto, alla fine lo finirono sparandogli mentre lui benediva i suoi aguzzini. Ma è significativo che costoro, in precedenza, gli dicessero: "bestemmia e ti perdoneremo". Il sacerdote, sfinito dalle sevizie, rispose che era lui a perdonare loro e li benedisse. Ma va sottolineata quella volontà di ottenere da lui un tradimento della fede. Anche dagli altri sacerdoti pretendevano la profanazione di sacramenti. O da suore che violentarono. Quale senso poteva avere, dal punto di vista politico, per esempio, la riesumazione dei corpi di suore in decomposizione esposte in piazza per irriderle? Non c’è qualcosa di semplicemente satanico?
E il giovane Juan Duarte Martin, diacono ventiquattrenne, torturato con aghi su tutto il corpo e, attraverso di essi, con terribili scariche elettriche? Pretendevano di farlo bestemmiare e di fargli gridare "viva il comunismo!", mentre lui gridò fino all’ultimo "viva Cristo Re!". Lo cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Qua non siamo solo in presenza di un folle disegno politico di cancellazione della Chiesa. C’è qualcosa di più. A definire la natura e la vera identità di questo orrore ha provato Richard Wurmbrand, un rumeno di origine ebraica che in gioventù militò fra i comunisti, nel 1935 divenne cristiano e pastore evangelico, quindi subì 14 anni di persecuzione, molti dei quali nel Gulag del regime comunista di Ceausescu.
Anch’egli aveva notato – nei lager dell’Est – questo oscuro disegno nella persecuzione religiosa. In un suo libro scrive: "Si può capire che i comunisti arrestassero preti e pastori perché li consideravano contro rivoluzionari. Ma perché i preti venivano costretti dai marxisti nella prigione romena di Piteshti a dir messa sullo sterco e l’urina? Perché i cristiani venivano torturati col far prendere loro la Comunione usando queste materie come elementi?". Non era solo "scherno osceno". Al sacerdote Roman Braga "gli vennero schiantati i denti uno ad uno con una verga di ferro" per farlo bestemmiare. I suoi aguzzini gli dicevano: "se vi uccidiamo, voi cristiani andate in Paradiso. Ma noi non vogliamo farvi dare la corona del martirio. Dovete prima bestemmiare Iddio e poi andare all’inferno". A un prigioniero cristiano del carcere di Piteshti, riferisce Wurmbrand, i comunisti ogni giorno ripetevano in modo blasfemo il rito del battesimo immergendogli la testa nel "bugliolo" dove tutti lasciavno gli escrementi e costringevano in quei minuti gli altri prigionieri a cantare il rito battesimale. Altri cristiani "venivano picchiati fino a farli impazzire per obbligarli a inginocchiarsi davanti a un’immagine blasfema di Cristo".
Si chiede Wurmbrand, "cos’ha a che fare tuttociò con il socialismo e col benessere del proletariato? Non sono queste cose semplici pretesti per organizzare orge e blasfemie sataniche? Si suppone che i marxisti siano atei che non credono nel Paradiso e nell’Inferno. In queste estreme circostanze il marxismo si è tolto la maschera ateista rivelando il proprio vero volto, che è il satanismo".
In effetti il libro di Wurmbrand s’intitola "Was Karl Marx a satanist?" ed è stato tradotto in italiano dall’ "editrice uomini nuovi" col titolo "L’altra faccia di Carlo Marx". L’autore si spinge, indagando negli scritti giovanili di Marx e nelle sue vicende biografiche, fino a ritenere che trafficasse con sette sataniste. Peraltro nel brulicare di sette e società esoteriche di metà Ottocento sono tante le personalità che hanno avuto strane frequentazioni. E su Marx anche altri autori hanno fatto ipotesi del genere. Wurmbrand sostiene soprattutto che la filantropia socialista non era l’ispirazione vera di Marx, ma solo lo schermo, il pretesto per la sua vera motivazione che era la guerra contro Dio. Realizzata poi su larga scala con la Rivoluzione d’ottobre e quel che è seguito (nei regimi comunisti fatti, correnti, episodi e personaggi che portano in quella direzione sono chiari).
Sul satanismo non so pronunciarmi, ma gli effetti satanici dell’esperimento marxista (planetario) sono sotto gli occhi di tutti anche se rimossi clamorosamente dalla riflessione pubblica: la più colossale e feroce strage di esseri umani che la storia ricordi e la più vasta guerra al cristianesimo di questi duemila anni. Siccome capita di sentir formulare, in ambienti cattolici, giudizi indulgenti sugli "ideali dei comunisti", che sarebbero poi stati traditi nella pratica o mal tradotti, è venuto il momento di definire una buona volta la natura satanica dell’ideologia in sé e di tutto quel che è accaduto. Visto che un grande filosofo come Augusto Del Noce da anni ha dimostrato quanto l’ateismo sia fondamentale nel marxismo e niente affatto marginale o facoltativo. La tragedia spagnola, su cui il popolo cristiano non sa quasi niente (e che fu perpetrata anche da altre forze rivoluzionarie e laiciste) dovrebbe far riflettere, se non altro per le proporzioni di quel martirio.
Antonio Socci
Da "Libero", 21 ottobre 2007
La campagna della Regione Toscana
La foto di un neonato, sfocato, con la tipica fascetta al polso. Ma non c’è scritto, come sarebbe normale, il suo nome, bensì la parola "omosessuale". Non è una nuova pubblicità choc alla Oliviero Toscani, ma il manifesto scelto dalla Regione Toscana per presentare una nuova campagna di comunicazione contro le discriminazioni sessuali, patrocinata dal ministero per le Pari opportunità.Il fatto è gravissimo. Davanti a queste forme di violenza, mascherate di tolleranza e rispetto dei diritti umani, ci si chiede fino a quando gli "uomini di buona volontà" sopporteranno questo scempio della società e non scenderanno in piazza...?
1) Un neonato gay di Luca Volontè
2) Neonato gay. Ma non dite che è uno choc di Michele Brambilla
1) Un neonato gay
La follia contro quel neonato con la scritta homosexual
di LUCA VOLONTÈ**Capogruppo Udc alla Camera
Da che mondo è mondo, cioè dai tempi di Adamo ed Eva, i sessi sono due: maschio e femmina. Fin troppo ovvio, direte voi, questo lo sanno anche gli atei. Eppure, c'è chi vorrebbe radicare nella testa di tutti noi una nuova interpretazione della realtà, che nega questo presupposto fondamentale della natura. La parola tanto cara alle associazioni omosessuali, nata apposta per confondere le idee, è "gender", termine che difficilmente si traduce in italiano con la parola "genere".
Gender è qualcos'altro, è la negazione stessa della natura. Da dato naturale, la differenza sessuale diventa concetto, categoria di pensiero. Non una cosa di cui prendere atto, ma su cui riflettere e discutere. E, nel caso, modificarla arbitrariamente. Se il sesso indica la differenza biologica (cromosomica, genetica, genitale), dunque immutabile nello spazio e costante nel tempo, il gender indica un insieme di caratteristiche, comportamenti, valori astratti rispetto al sesso. La conseguenza più cupa e pericolosa è che la differenza tra maschio e femmina non conta più nulla, anzi: non esiste proprio! Al contrario, esiste il corpo androgino asessuato, simbolo di onnipotenza, libertà sessuale, lontananza da Dio, autodeterminazione individuale senza restrizioni e limiti. Insomma, nascono veri e propri cyborg, pronti a essere tutto e il contrario di tutto. Tanto, c'è la scienza (che a volte sfocia in fantascienza) a cambiare gli organi che non ci piacciono, a toglierne alcuni di troppo per metterne altri di più graditi. Di più, proprio in base a queste premesse assurde si giustificherebbe la nascita di qualsiasi sessualità a seconda dell'appetito o dell'istinto sessuale da soddisfare a tutti i costi. Sulle orme di questa ideologia perversa si sta muovendo la Regione Toscana, con un manifesto che dovrebbe evitare le discriminazioni sessuali, mentre invece non è altro che un raccapricciante esempio di furore ideologico antisessuale: si vede un bambino, con il volto sfocato (almeno quello), che al polso ha il solito braccialetto di riconoscimento usato in ogni ospedale. Sopra, però, non c'è scritto il nome di battesimo, ma la parola "homosexual". Come dire: omosessuali si nasce, non si diventa, perché è una caratteristica innata.
Le strumentalizzazioni sui neonati per promuovere le pulsioni omosessuali più becere sono già inaccettabili per conto loro, ma lo sono ancor di più quando a questa vergogna concorrono le istituzioni pubbliche e un ministero compiacente come quello delle Pari opportunità, che patrocina simili campagne-choc e sperpera il denaro pubblico assecondando il gioco delle "solite" lobby. Dov'è finito il rispetto per i bambini?
Ben lungi - sia chiaro - dal voler sottintendere parallelismi o legami impropri tra violenze sui bambini e omosessualità, abbiamo ancora negli occhi il corpicino martoriato della neonata di Napoli morta per le sevizie subìte. Non possiamo tollerare che campagne istituzionali possano usare l'immagine di bambini che, a quell'età, dovrebbero solo stare tra le braccia della mamma e iniziare serenamente il proprio percorso di vita con la sessualità che la natura ha donato loro. Chi invece vorrebbe un pansessualismo senza limiti o un Paradiso terrestre abitato da "Adama ed Evo", si rassegni.
LIBERO 24 ottobre 2007
2) Neonato gay. Ma non dite che è uno choc
di Michele Brambilla
L’immagine che vedete - un neonato con al polso un braccialettino che ne indica, anziché il nome, la congenita inclinazione all’omosessualità - è stata scelta dalla Regione Toscana e dal ministero per le Pari opportunità come icona di una campagna contro le discriminazioni di carattere sessuale. Da oggi sarà affissa, in bella evidenza, sui muri delle città toscane, e riprodotta da alcuni quotidiani nazionali.
Non sappiamo se otterrà il giusto scopo di combattere le discriminazioni, oppure se l’utilizzo di un bimbo - evidentemente non in grado di dare il proprio assenso - sortirà l’effetto non voluto di irritare. Di sicuro è una campagna che risponde pienamente ai canoni del "politicamente corretto", il quale impone la presenza di una o più coppie gay in ogni film, fiction tv, mostra d’arte, romanzo e persino gara sportiva.
Il terreno è scivoloso, e criticare certe iniziative espone sempre al rischio di vedersi contestare l’immancabile accusa di omofobia. Tuttavia sarà ancora consentito, almeno, di sorridere di fronte alle mirabolanti definizioni con cui queste campagne vengono presentate. "Campagna choc", è scritto più volte nel comunicato diffuso dai promotori. "Choc", cioè che scuote, stupisce, sorprende, rompe gli schemi.
Ma quali schemi?
Quelli della coppia eterosessuale e magari monogamica?
Quelli del matrimonio indissolubile?
Quelli del processo a Oscar Wilde?
Non prendiamoci in giro.
Ogni epoca ha il proprio conformismo, e certo non era bello quello che marchiava gli omosessuali come "froci" o "invertiti" o peggio ancora: ma quei tempi sono finiti da un pezzo, morti e sepolti. Lo sa bene chiunque lavori in un giornale ma anche chiunque stia un paio d’ore davanti alla tv.
Per chi sarebbe uno "choc" la campagna della Regione Toscana?
Per i politici? Chiedere informazioni a chi ha perso una poltrona da commissario europeo, per aver dato l’impressione di non essere abbastanza choccante.
Proprio di questi giorni è la notizia dell’ultima trovata di Joanne Kathleen Rowling, la creatrice della saga di Harry Potter. Scritto l’ultimo romanzo, finito il battage pubblicitario per l’uscita del libro, che cosa si è inventata la signora per rilanciare il prodotto? Che Albus Silente, uno dei suoi eroi di carta, è un gay. Ma guarda: se dire una cosa del genere fosse ancora così anticonformista, non avrebbe avuto paura, la Rowling, di perdere lettori? Invece ha messo a segno ancora una volta un colpo da genio del marketing, perché la parolina magica, "gay", non poteva che fare il giro del mondo circondata da cori di approvazione, di perbacco che coraggio, di ma guarda com’è illuminata. E infatti non è passato neppure un giorno che Daniel Radcliffe, l’attore che ha impersonato Harry Potter al cinema, ha annunciato: "Nel prossimo film mi piacerebbe interpretare un ruolo gay". Un kamikaze o un furbone?
"I pittori del Rinascimento, Michelangelo in testa, riempivano i loro quadri, anche religiosi, con i ritratti nascosti dei loro amori e dei loro amanti: ma quello sì che era un gesto eversivo, rischioso", ha detto Pietrangelo Buttafuoco proprio ieri sul Foglio. Adesso invece il testimonial gay viene usato come la gallina dalle uova d’oro, come chiave sicura per aprire le porte dell’applauso facile: e non solo quello degli intellettuali progressisti, ma anche di tutto il cosiddetto media-system.
Giova, agli omosessuali, tanto ipocrita conformismo?
Non credo. Come non credo giovi loro neppure lo slogan che la Regione Toscana ha inserito nel manifesto con il neonato gay: "L’orientamento sessuale non è una scelta". È uno slogan ideato - come ha detto l’assessore regionale Agostino Fragai - per "sottolineare come l’omosessualità non possa essere considerata un vizio". Forse Fragai non si rende conto che in questo modo priva gli omosessuali del loro libero arbitrio, e li condanna a una condizione di dipendenza genetica che qualcuno, Dio non voglia, potrebbe chiamare malattia.
Ben vengano, insomma, tutte le iniziative tese a spazzar via ogni residuo di discriminazione, di ghettizzazione, di offesa. Ma gli omosessuali avrebbero diritto a sponsor più credibili di chi, per usare ancora le parole di Buttafuoco, vuol "presentare gli uomini e le donne come "individui" de-generalizzati, né maschi né femmine, né adulti né bambini. Senza genere. De-generi". Sono gli autogol prodotti dallo zelo eccessivo del nuovo conformismo. Che ha la pretesa di presentarsi come anticonformista, è questo che fa un po’ ridere. Il Giornale n. 251 del 2007-10-24
Discovering God. Il disegno sociologico intelligente di Rodney Stark
di Massimo Introvigne
S’immagini qualcuno che odi gli aerei, che non abbia mai preso un aereo e che consideri quelli che viaggiano in aereo come dei pazzi scriteriati. Se lo ritroviamo a scrivere manuali sugli aerei o a occupare cattedre universitarie di aeronautica c’è evidentemente qualche cosa che non va. È la parabola che Rodney Stark, uno dei più grandi sociologi viventi, mi raccontava qualche tempo fa annunciandomi l’intenzione di volere chiudere i conti con gli studiosi accademici delle religioni, molti dei quali – piuttosto curiosamente – non sono religiosi, odiano le religioni e considerano le persone religiose inguaribilmente arretrate, se non affette da una malattia di cui si dovrebbe cercare la cura.I conti, ora, sono chiusi con Discovering God. The Origins of the Great Religions and the Evolution of Belief ("La scoperta di Dio. Le origini delle grandi religioni e l’evoluzione del credere", HarperOne, New York 2007), un’opera monumentale destinata a fare epoca non solo per l’ambizione di portare uno sguardo sociologico sull’intera storia delle grandi religioni, dalla preistoria al fondamentalismo islamico, ma per il carattere molto politicamente scorretto delle conclusioni cui perviene. Per capire di che si tratta occorre ricordare brevemente i principi generali del metodo sociologico di Rodney Stark, ispiratori di una lunga carriera di cui quest’opera costituisce per molti versi il coronamento. La sociologia della religione è stata dominata fin dalle sue origini ottocentesche dall’idea secondo cui la presenza delle religioni è destinata a diminuire mano a mano che avanzano la modernità e la scienza, di cui i primi studiosi di questa materia si consideravano gli araldi, così che si aspettavano di poter fare da notai e stendere presto o tardi l’atto di morte della religione. Poiché le religioni tardavano a morire, le loro idee – senza cambiare nell’ispirazione generale – si sono trasformate in teorie sempre più sofisticate della "secolarizzazione". Uno dei postulati di queste teorie è che la modernità porta con sé la democrazia e la libertà religiosa, che erodono le strutture di plausibilità delle religioni. Se c’è una religione sola – ragionavano questi sociologi – è ancora possibile che qualcuno ci creda veramente. Ma se regna la libertà religiosa e ce ne sono molte, non potendo credere a tutte, si finirà per non credere a nessuna.I fatti si sono ostinatamente rifiutati di conformarsi a queste teorie. Diffondendosi la democrazia e il pluralismo religioso le religioni non sono scomparse. Anzi, è proprio nei paesi dove ci sono più religioni – come gli Stati Uniti – che c’è anche più religione: più persone si dichiarano religiose, più numerosi sono coloro che frequentano i luoghi di culto. Proprio facendo leva sul caso americano, Stark e i colleghi che lo hanno seguito – dapprima minoritari, mentre oggi rappresentano negli Stati Uniti una buona metà dei sociologi della religione, anche se incontrano forti resistenze in Europa (ma assai meno in Asia) – hanno gradualmente sostituito al "vecchio paradigma" della secolarizzazione come portato necessario della modernità e del pluralismo un "nuovo paradigma", secondo cui la compresenza di più religioni giova alla religione nel suo insieme. La concorrenza stimola infatti le energie delle varie "aziende" che operano sul "mercato religioso", le spinge a fare di più e a proporre "prodotti" più graditi dal pubblico. La metafora economica può piacere o no, ma non significa affatto che Stark consideri le religioni un prodotto da supermercato, né che si disinteressi delle dottrine. È precisamente il contrario: infatti il centro del "mercato" – se si vuole, il "prodotto" che le "aziende religiose" vendono – è la dottrina, che dunque ha un ruolo centrale nel "nuovo paradigma", mentre il "vecchio" tendeva a spiegare il successo delle religioni con fattori extra-religiosi come la povertà o le crisi politiche. Secondo la nuova teoria il vecchio paradigma si poneva, sbagliando, "dal lato della domanda", andando a cercare nella storia i fattori che facevano crescere o diminuire la domanda di religione, mentre per Stark la domanda tende a rimanere costante nel tempo e per spiegare che cosa succede nel mondo delle religioni occorre porsi supply-side, "dal lato dell’offerta", perché è appunto l’offerta religiosa che cambia continuamente.E la domanda è veramente molto costante. In Discovering God Stark ipotizza che sia costante fin dalla preistoria (il che equivale a dire che la religione ha qualcosa a che fare con la stessa natura umana), e che anche la distribuzione dei consumatori religiosi in "nicchie" – le quali dividono chi cerca un’esperienza religiosa molto intensa da chi la vuole più blanda – potrebbe essere rimasta costante non solo per secoli, ma per millenni. Ma come è nata l’offerta? Come sono nate le religioni? Stark svela la risposta finale che gli sembra più plausibile solo alla fine del libro, non perché scambi un testo di sociologia per un giallo ma perché è ragionevolmente persuaso che, data all’inizio, la sua risposta apparirebbe così scandalosa da indurre più di un lettore (e certamente molti suoi colleghi accademici) a non proseguire oltre.Procedendo dunque cautamente, Stark comincia a far notare che le religioni non nascono da vasti "comitati" o dal "popolo": "una nuova cultura non "accade" semplicemente e né le tribù né le società inventano alcunché. L’innovazione è il lavoro di individui o al massimo di piccoli gruppi". Dopo avere rifiutato come teorie alla vana ricerca di fatti che le confermino le ipotesi secondo cui i culti preistorici e protostorici erano estremamente rozzi, selvaggi e "animistici", Stark mostra come molti studi recenti riabilitino le ipotesi di Andrew Lang (1844-1912) secondo cui i "primitivi", pur non essendo tecnicamente monoteisti, credevano in un "Dio supremo" che regnava su un pantheon di divinità minori e aveva creato il mondo. Rispetto a questa fase più antica l’abbandono dell’idea di "Dio supremo" a favore di un "elaborato politeismo" appare non come un progresso, ma come una decadenza. Questo processo degenerativo porta alle "religioni del tempio", di cui Stark studia dettagliatamente le forme sumere, egizie, greche, maya ed azteche, a proposito di queste ultime ricordando, contro accostamenti "buonisti", sia la centralità del sacrificio umano, sia le sue motivazioni prevalentemente religiose – non economiche o politiche –: "senza le ragioni religiose non ci sarebbe stato nessun sacrificio". Naturalmente sappiamo molto poco di una eventuale "economia religiosa" nella preistoria e nella protostoria, ma – nota Stark – sappiamo almeno che non c’erano Stati forti in grado di imporre una religione di Stato. Non così all’epoca delle "religioni del tempio", che erano un’appendice dello Stato, avevano un clero statale e contavano sullo Stato per sopprimere qualunque concorrenza (pur potendo presentarsi al loro interno come divise nei culti delle varie divinità politeistiche, tutte però parte di un ordine comune). La conseguenza, come Stark cerca di documentare attraverso un’ampia ricognizione, è quella tipica delle economie religiose monopolistiche. Ufficialmente tutti erano religiosi, ma questa religione si riduceva al sostegno economico (obbligatorio) dei templi, le cui cerimonie spesso erano condotte dal clero senza neppure la presenza del popolo. Nonostante le apparenze in contrario, non si trattava di una religiosità popolare e diffusa. Infatti, era esposta alla crisi appena si fosse presentata la concorrenza.Il mercato religioso nasce, secondo Stark, a Roma, che da questo punto di vista – pur mantenendo a lungo gli stessi dei – è molto diversa dalla Grecia. Roma si limita a un modesto sostegno ai templi di Stato, e lascia ampiamente che la religione sia regolata dalla libera concorrenza. Come risultato, la religione fiorisce, benché le autorità si preoccupino di quelle religioni che rischiano di interferire eccessivamente nel normale andamento dello Stato e della politica perseguitando, già prima dei cristiani, gli ebrei – così che solo "strane militanze ideologiche" possono attribuire al cristianesimo la nascita di un antisemitismo che a Roma esisteva ben prima di Gesù Cristo – e i seguaci di culti misterici semi-monoteistici come quelli di Cibele e di Iside. Proprio il successo della religione più crudelmente perseguitata, il cristianesimo, mostrerà però che una volta aperte le porte del mercato religioso è difficile richiuderle persino con il sangue, e chi risponde alla domanda religiosa con l’offerta più persuasiva vince. Ma il successo nel mercato religioso è sempre precario. Chi vince tende a conquistare anche il potere politico e a creare forme di religione di Stato, che s’impigriscono e perdono seguaci. È un rischio, secondo una tesi che Stark ha esposto in maggiore dettaglio altrove, che diverse forme di Chiese cristiane avrebbero spesso corso nella storia. Il monoteismo costituisce in effetti un’offerta più persuasiva del politeismo: un Dio unico appare più ragionevole e può promettere ai suoi seguaci non i benefici settoriali delle varie divinità dei pantheon politeistici ma la salvezza eterna. La "rinascita" del monoteismo (che secondo Stark si era già lasciato intravedere all’alba della storia nei culti del "Dio Supremo", prima della fase decadente delle "religioni del tempio") è annunciata da avventure singolari come quella del faraone egiziano Akhenaton (che regna dal 1353 al 1334 a.C.) – stroncata dopo la sua morte dalla reazione della "religione del tempio" egizia – e si compie con lo zoroastrismo in Persia e la graduale vittoria (che avviene non senza difficoltà e opposizioni) della fazione monoteista all’interno del popolo d’Israele. Una discussione delle controversie su quando si sia svolta l’attività di Zoroastro – e delle ragioni che militano a favore di una datazione più o meno tra il 618 al 541 a.C. (mentre altri la collocano intorno al 1000 a.C. o anche diversi secoli prima) – permette a Stark di ritornare sulla nozione, resa popolare dal filosofo Karl Jaspers (1883-1969) ma già proposta da studiosi ottocenteschi come Ernst von Lasaulx (1805-1861) e Viktor von Strauss (1809-1899) del sesto secolo a.C. come "età assiale". In quest’epoca contemporaneamente fioriscono i rinnovatori dell’induismo che gli conferiscono la sua forma attuale, Buddha (563-483 a.C.?) e il fondatore del giainismo, Mahavira (forse morto nel 527 a.C.), in India, Zoroastro in Persia, i grandi profeti in Israele, Lao-Tze (di cui Stark rivendica la storicità, ma di cui si ignorano le date di nascita e di morte) e Confucio (551-479 a.C.?) in Cina. Questi riformatori hanno poco in comune fra loro, salvo il fatto che tutti stabiliscono un saldo collegamento fra la religione e la morale, che non era affatto scontato in epoca precedente: gli dei più antichi spesso non solo non ricompensavano il bene, ma compivano essi stessi azioni malvagie. Stark ritiene che, mentre sarebbe del tutto sbagliato pensare che le religioni nate nell’"età assiale" siano state "generate" dal sorgere di grandi Stati che avevano bisogno di rafforzare con il consenso morale il necessario "controllo sociale", questa situazione spiega "perché, quando le "risposte" sono apparse, sono risultate così popolari".L’istituzionalizzazione religiosa propone peraltro due tipi diversi di religione: quelle per cui Dio (o il divino) è una "essenza" o un’energia impersonale e remota, e quelle dove Dio è concepito come un Essere personale che si occupa del mondo. Nonostante la preferenza personale di molti studiosi accademici delle religioni per il primo modello, questo in una situazione di libero mercato religioso ha in realtà un successo molto modesto. Nella loro forma "pura" – come "religioni dell’essenza" – il buddhismo, il giainismo, il confucianesimo e il taoismo si riducono a fenomeni elitari senza grande seguito. Quando invece adottano nei loro templi un buon numero di dei e propongono dottrine di salvezza personale, nella loro forma "popolare", si assicurano un successo che arriva fino ai giorni nostri. Il buddhismo o il confucianesimo "atei" come risultano dai libri entusiasmano solo piccoli gruppi d’intellettuali (e molti studiosi occidentali). I templi buddhisti e confuciani davvero frequentati dalle popolazioni sono, invece, letteralmente pieni di dei.Peraltro, le religioni che si fondano sulla meditazione o sulla riflessione filosofica hanno uno svantaggio in un mercato religioso aperto rispetto a quelle che rivendicano una rivelazione divina. Se il monoteismo è persuasivo soprattutto quando ci parla di un Dio che si occupa di noi, allora appare anche logico che questo Dio non rimanga silenzioso e si riveli. Non tutte le rivelazioni, però, sono uguali. Stark propone un’analisi senza reticenze dell’islam di cui mostra l’essenza nel carattere imprevedibile del suo Dio, che non dispone il mondo secondo ragione, così che di questo mondo non si può avere una conoscenza certa, dovendo invece sottomettersi a quanto Dio rivela nel Corano e all’autorità politica che – secondo diversi percorsi – continua nella storia la missione del Profeta. Stark non cita mai Benedetto XVI né il discorso di Ratisbona, ma le conclusioni sono del tutto analoghe quanto al rischio che questa nozione di Dio spinga a risolvere le controversie con un appello non alla ragione, ma alla forza.Il sociologo americano può così finalmente tirare le sue sorprendenti conclusioni. Da dove nasce la religione? O si tratta di un’invenzione umana o viene da un Dio che si rivela. Si è sempre detto che le scienze umane non si occupano delle prove dell’esistenza di Dio e non rispondono alla domanda se Dio esista o meno, perché questo sarebbe un "giudizio di valore" mentre il metodo scientifico è per definizione value-free, "indipendente dai valori". Stark confessa di avere condiviso questa tesi per anni, ma di non essere più così sicuro che l’affermazione secondo cui le religioni ci sono perché un Dio personale si è rivelato agli uomini sia un "giudizio di valore" rispetto al quale la sociologia non ha niente da dire. Anzitutto, i sociologi hanno a lungo barato: fingendo di proporre una scienza value-free si sono in realtà schierati in modo militante per sostenere che Dio non esiste, che le religioni sono illusioni, che al massimo sono tollerabili religioni "senza Dio" come il buddhismo o il confucianesimo (delle élite) o è simpatico l’islam perché dà noia a quell’Occidente che certi accademici amano ancora meno della religione. Stark, per così dire, rende loro la pariglia. Se tanti sociologi, a partire dai padri fondatori della disciplina, hanno tratto dalla loro scienza argomenti contro l’esistenza di Dio, la foglia di fico della neutralità è caduta. Si può dimostrare che i loro argomenti sono sbagliati. Le cause economiche e politiche che dovrebbero rendere ragione dell’ascesa delle religioni non sono sufficienti a spiegare fenomeni come la diffusione del cristianesimo o la vittoria del monoteismo nella storia dell’antico Israele. Tutto lo schema evolutivo secondo cui la religione sarebbe passata da forme più primitive e caotiche di politeismo a versioni raffinate del monoteismo è falso. Le acquisizioni archeologiche e storiche permettono al contrario di concludere che alle origini vi è il semi-monoteismo del "Dio supremo" e che il successivo fiorire del politeismo non corrisponde a uno sviluppo ma a una decadenza.Stark fa riferimento alla polemica scientifica sul "Disegno Intelligente" – secondo cui la natura dell’universo rivelerebbe l’esistenza di un progetto e quindi di un progettista, Dio –, rilevando che la vera prova di questa tesi non è tanto offerta "dalla scienza" tramite le sue ricerche quanto "dalla stessa esistenza della scienza": un’esistenza che è un dato sociale, e su cui il sociologo ha titolo a pronunciarsi. La scienza è fiorita in Occidente sulla base dell’idea secondo cui – prima che arrivi lo scienziato a scoprirle – esistono nel mondo leggi che non mutano: oggi sono le stesse di ieri, e saranno le stesse domani. È precisamente perché non crede che Dio abbia creato il mondo secondo ragione che l’islam – che è stato capace di produrre altissima tecnologia – è rimasto ai margini dello sviluppo della scienza moderna. "Alcuni pensatori musulmani hanno perfino negato la stessa esistenza del principio di causa e di effetto, anche riferito al solo mondo terreno, sulla base che è intrinsecamente contrario al principio dell’illimitata libertà di azione di Dio […]. Queste dottrine, che implicano l’affermazione che ogni pretesa di formulare leggi naturali è blasfema in quanto anche queste leggi limiterebbero la libertà di Allah, hanno avuto un ruolo fondamentale nel fallimento del tentativo musulmano di tenere il passo dell’Occidente".L’esistenza nel reale di leggi naturali – che la scienza ha puntualmente scoperto – rende invece eminentemente plausibile l’esistenza di un Disegno Intelligente di Dio: in effetti, una "variazione infinitesimale" delle componenti fondamentali dell’universo, come gli scienziati hanno dimostrato, lo renderebbe caotico e inintelligibile e le possibilità che l’universo si sia disposto così per caso rasentano l’impossibilità. Se questo è l’argomento classico degli scienziati sostenitori del Disegno Intelligente, anche lo scienziato sociale trova nella storia delle società "leggi" e regolarità che vanno precisamente nella stessa direzione. Così, anche il sociologo – argomentando pure dalle "leggi" che regolano lo sviluppo e la diffusione delle religioni, che avviene nel corso dei millenni con sorprendente regolarità – può arrivare secondo un suo percorso ad affermare il Disegno Intelligente.E può fare di più. Una volta indicata come plausibile l’esistenza di un Dio che si rivela può costruire un percorso sociale di questa divina rivelazione, che mostra come assai credibile l’antica ipotesi teologica secondo cui la rivelazione è progressiva e tiene conto delle capacità di ricevere rivelazioni che l’umanità manifesta nelle varie epoche storiche, che sono talora di sviluppo della ragione, talaltra di decadenza e di crisi. Stark torna così esplicitamente a Giambattista Vico (1668-1744) e all’idea di una "rivelazione primordiale" le cui vestigia si trovano nelle antichissime teologie del "Dio supremo", cui segue una decadenza. Dalla storia della rivelazione progressiva di Dio – e qui Stark consapevolmente si avventura su un terreno teologico, rivendicando peraltro il carattere perfettamente "scientifico" della teologia – si devono escludere i sistemi religiosi dell’Oriente, che non affermano di essere basati su una rivelazione ma sulle intuizioni di saggi (i quali, peraltro, hanno potuto scoprire qualche verità grazie alla ragione). Dopo un possibile ma dubbio prologo con il faraone Akhenaton – la cui rivelazione è sì monoteistica ma "trova una base per rifiutarla come autentica nel fallimento del suo tentativo di produrre effetti di lunga durata"– la storia della rivelazione per Stark inizia con la vittoria del monoteismo all’interno dell’ebraismo, al quale avviene peraltro non senza "una qualche interazione con lo zoroastrismo" durante la cattività babilonese degli Ebrei. Zoroastro (parzialmente), gli autori di quello che per i cristiani è l’Antico Testamento e gli scrittori neo-testamentari costituiscono per Stark – insieme alle ignote ma spesso geniali personalità religiose che conservarono e diffusero brandelli della rivelazione primordiale, resistendo a lungo al politeismo – le tappe di una storia in cui Dio progressivamente si rivela.La domanda è inevitabile: in questa storia dove si colloca l’islam? Per i musulmani la risposta è chiara: l’islam è il vertice e la conclusione di tutte le rivelazioni. Per Stark la risposta non è meno tranchant: a prescindere dalla "sincerità di Muhammad", un problema che è estraneo al nocciolo della questione, "la fede rivelata nel Corano è moralmente e teologicamente regressiva". Rispetto ai monoteismi precedenti, la nozione musulmana di Dio – "imprevedibile e così inconoscibile che non si può neppure dare per scontato che sia ragionevole o virtuoso" – rappresenta una fase di decadenza. Pertanto nel modello di Stark "è inappropriato includere l’islam nel novero centrale delle religioni che risultano da un’autentica ispirazione di Dio", il che non esclude che – come ogni impresa umana – l’islam possa includere anche elementi umanamente degni di stima.Ma "tutta questa discussione su un nucleo centrale di religioni davvero ispirate è basata sull’assunzione che Dio esista. Se Dio non esiste, non c’è nessuna religione ispirata", il che rende puerili certe difese dell’ufficio dell’islam da parte di accademici occidentali atei. Ma per Stark lo studio della sociologia, come di ogni scienza, permette di concludere che è eminentemente plausibile che Dio esista. Per negare quanto sembra evidente ci vuole, paradossalmente, un atto di fede (atea) e – scrive il sociologo – "non sono più sufficientemente arrogante o ingenuo per pronunciare questo atto di fede". Naturalmente, il fatto che una religione presenti credenziali più credibili di un’altra come autentica rivelazione divina non significa necessariamente che continuerà ad affermarsi nella storia. Il sociologo fedele alla sua professione è costretto a ricordare sempre il ruolo centrale della demografia. A prescindere da qualunque esame delle rispettive rivelazioni, e contro le tesi contrarie di qualche studioso inguaribilmente ottimista, "il numero di cristiani in Europa sta declinando molto rapidamente, non tanto per le defezioni dalla fede ma perché i cristiani fanno sempre meno figli", mentre "la fertilità musulmana rimane ovunque sopra il livello di sostituzione demografica, anche fra i musulmani immigrati in Europa", così che la prospettiva di una mappa religiosa del mondo che presenti fra un secolo "un’Europa musulmana" non è irragionevole. Ma è anche vero, nota Stark, che non sempre le previsioni dei sociologi si realizzano. "Chi fra gli apostoli avrebbe potuto intravedere la Chiesa Cattolica come è oggi? Quale Papa medioevale avrebbe potuto immaginare i Battisti del Sud [la denominazione, conservatrice, di maggioranza relativa nel protestantesimo americano contemporaneo]?". Il disegno di Dio sulla storia è certamente intelligente, ma non può essere necessariamente anticipato e compreso dalle previsioni intelligenti dei sociologi.
Il progresso? È il Medioevo
Avvenire, 24.10.2007
JEAN MERCIER
Parla poco e non ama i riflettori. Attraverso gli strumenti della filosofia, che insegna a Paris I (PantheonSorbona) e in Germania, all’università LudwigMaximilian di Monaco, si sforza di pensare la civiltà occidentale nel suo legame con la Bibbia, il Medioevo e l’islam. Nel 1992 il suo Europa, la via romana rivelava al grande pubblico un non-conformista che decripta gli ancoraggi filosofici dei valori europei e l’articolazione tra religione e società. Nella sua ultima opera, Au moyen du Moyen Age ("In mezzo al Medioevo", ma anche "Al modo del Medioevo" o "Per mezzo del Medioevo"), ci invita a guardare con occhi diversi un periodo troppo spesso disprezzato dai nostri contemporanei. Spiritoso e impassibile, appassionato di letteratura umoristica inglese, Brague ha il gusto della provocazione. Gli piace scovare "le derive oscurantiste della modernità", così come una certa "ingenuità" nel dialogo dei cristiani con l’islam.
Innanzitutto la vita. Qual è il suo percorso?
"Sono cresciuto nella periferia parigina, ma ho radici nella Nièvre, in Borgogna. Non ho mai conosciuto mio padre, ucciso in Indocina. Quanto agli studi, ho esitato a lungo tra filosofia e storia. Alla fine sono entrato all’Ecole normale supérieure, poi ho insegnato filosofia in un istituto tecnico. Sono stati quattro anni difficili. Ma sono convinto che i docenti universitari che non hanno fatto questo tipo d’esperienza restano sempre un po’ nel loro mondo.
Ho imparato a insegnare davvero, e non solo a stupire la platea con belle frasi… Specialista di filosofia greca, ho discusso la tesi su Aristotele. Ma poiché volevo esplorare l’aspetto biblico, ho imparato l’ebraico.
All’inizio non ero interessato ai filosofi musulmani, ma all’ebreo Maimonide. Solo in un secondo momento, lavorando su testi ebraici tradotti dall’arabo, ho cominciato a studiare quella lingua. E in seguito sono stato chiamato a occupare una cattedra di filosofia araba e medievale".
In Occidente si ha una visione piuttosto negativa del Medioevo, visto come periodo buio della storia…
"È vero. Per definire un massacro, ovunque sia accaduto, i giornalisti parlano di 'barbarie da Medioevo'. Ma quando si esce da un secolo che ha inventato, tra le altre cose, la Shoah, il gulag, la carestia artificiale in Ucraina nel 1932 e i khmer rossi, mi chiedo dove stia la barbarie! Si è creato in maniera ideologica un 'Medioevo', per contrapporlo ai cosiddetti tempi 'moderni'. La cosa più bizzarra è che si fanno iniziare questi tempi da una data fissa (come il 1492, scoperta dell’America) quasi il progresso ci fosse caduto addosso un bel giorno. Il rifiuto del Medioevo traduce, in epoca illuminista, la volontà di rottura con il cristianesimo. Il nostro problema è credere che prima dei Lumi non ci fosse nulla, nessuna intelligenza.
Eppure è stato il cristianesimo a rendere possibile la democrazia.
Sono stati gli ordini religiosi cristiani a inventarla".
…e non la società ateniese?
"Ad Atene si tiravano a sorte gli adulti maschi e liberi. Gli esseri umani non erano tutti uguali.
Dire che bisogna dare la stessa scheda elettorale a Einstein e allo scemo del villaggio, dire che hanno lo stesso valore, presuppone una trascendenza, una fonte ultima che fondi tale valore. Questa fonte è Dio.
Bergson ha ragione a sostenere che 'la democrazia è, nella sua essenza, evangelica'. Essa non è possibile senza l’idea di coscienza, ossia senza l’idea che Dio parla nella coscienza.
Rousseau la chiama ancora 'istinto divino'".
Lei fa parte di quei cristiani fortemente critici della modernità?
"Solo i cristiani sono rimasti lucidi. La modernità è vista come avanzamento perpetuo. I nostri contemporanei, che non credono più in nulla, come bambini di quattro anni s’immaginano che esistano dei folletti che, di notte, riparano i danni creati dal nostro sfruttamento sfrenato della natura. E cicogne che ci porteranno i figli che rifiutiamo di mettere al mondo. Si fa quel che si vuole e si pensa che alla fine tutto andrà per il meglio. La verità è che potrebbe finire malissimo…".
È necessario che il cristianesimo denunci senza sosta questa crisi di valori?
"Sì. Dio ha detto al profeta Ezechiele: 'Se le persone muoiono nel peccato senza che tu le abbia avvertite, è a te che chiederò conto'. Si vorrebbe mascherare l’immensa crisi di fiducia dell’Occidente, evidentissima, con la sola gestione del vivere comune, mentre la nostra sopravvivenza passa attraverso la scoperta di una verità ultima sulla vita, legata alla trascendenza.
Facciamo un esempio di questa crisi gravissima: il modo in cui la società parla del bambino. Ci si rallegra della natalità francese, che è un po’ meno catastrofica di quella dei nostri vicini, dicendo che avremo chi ci pagherà le pensioni…".
Il cristianesimo è vittima di un’aggressione? L’impressione è che prevalga l’indifferenza. A parte Michel Onfray…
"Vedo soprattutto simpatici becchini, atei benevoli che si rendono conto che i cristiani comprano molti libri e dunque non bisogna essere loro ostili.
Così dicono che il cristianesimo ha fatto cose buone, e lo si può seppellire con incensi e ghirlande. Lusingano il cristiano mostrandogli al tempo stesso che la sua fede non è più attuale".
Lei ha scritto spesso che, tra cristiani e musulmani, è difficile dialogare. Perché?
"Ma no! Con i musulmani è possibile e necessario dialogare.
Semplicemente, bisogna partire dalla ragione che ogni uomo possiede. E non basarsi su elementi religiosi comuni, perché sono falsati. L’islam si definisce per principio un postcristianesimo che sostiene che ebrei e cristiani hanno alterato i testi sacri. Per i musulmani, gli ebrei sarebbero infedeli a Moussa (Mosè) e i cristiani a Issa (Gesù). Di conseguenza ne deducono di essere loro i veri discepoli di Gesù e Mosè. Per loro il cristiano adora tre divinità, ha perso il treno quando non ha ricevuto la rivelazione di Maometto. È difficilissimo far capire ai musulmani che essi non conoscono il cristianesimo e l’ebraismo. Dal punto di vista dell’islam, il cristiano crede di essere cristiano ma non lo è veramente… Il cristianesimo accetta di essere secondo rispetto all’ebraismo, mentre l’islam non si sente secondo rispetto al giudeo-cristianesimo. Da un lato, il cristianesimo include l’Antica Alleanza, riprendendo la Bibbia ebraica senza tagli. Dall’altro, l’islam assorbe e fa scomparire il giudeocristianesimo quasi digerendolo. I cristiani poi tendono ad applicare la loro visione di Dio ad Allah. Hanno difficoltà a riconoscere il posto occupato da Maometto nelle società islamiche. Secondo l’islam tradizionale, poiché Dio è immensamente al di sopra degli esseri umani, è meno grave essere blasfemi contro Dio che prendersela con Maometto, poiché in tal caso si scalza il fondamento della società musulmana, il suo legislatore.
Altro esempio d’ignoranza: spesso si sente dire che, di fronte alla violenza, tutte le religioni si equivalgono. Per quanto riguarda il cristianesimo si citano le Crociate e l’Inquisizione. Ma si rifiuta di vedere che il rapporto con la violenza nell’islam e nel cristianesimo non è identico.
Certo, nel Corano si trovano versetti pacifici; ma altri versetti, che richiamano alla guerra, li contraddicono. La regola islamica vuole che questi versetti più recenti abroghino i più antichi, e perciò talvolta è difficile accettare il fatto che l’islam legittimi la violenza verso gli infedeli".
© "La vie" e per l’Italia "Avvenire" (traduzione di Anna Maria Brogi)
mercoledì 24 ottobre 2007
Rassegna stampa a cura di Giorgio Razeto
ora: 15:32
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