martedì 23 ottobre 2007

Rassegna stampa a cura di Giorgio Razeto

NUOVO ATTACCO A PADRE PIO: "Stimmate false"
Sta per uscire un saggio dello storico Sergio Luzzatto dal titolo : L’altro Cristo. Padre Pio e l’Italia del Novecento. L’autore afferma di aver consultato delle "carte segrete" degli archivi vaticani. E da lì ha preso la storia dell’acido fenico e della farmacista…
di Andrea Tornielli
C’è un ultimo segreto sulle stimmate di Padre Pio da Pietrelcina, il santo del Gargano venerato da milioni di persone in tutto il mondo. Un segreto legato a quattro grammi di acido fenico, che il giovane frate richiese a una farmacista nel 1919. Si tratta di una vecchissima testimonianza, ben conosciuta e analizzata a fondo da quanti hanno lavorato al processo di beatificazione, rimasta però inedita negli archivi del Sant’Uffizio. Aiuta a chiarire le accuse lanciate nei primi anni Venti contro Padre Pio da padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, il quale, pur senza esaminare le piaghe che si erano da poco prodotte sulle mani e sui piedi del frate stimmatizzato (perché quest’ultimo si rifiutò di mostrargliele in mancanza di un ordine scritto del Vaticano), concluse che le ferite non erano soprannaturali ma frutto di autolesionismo e isteria. Accuse che sono state ampiamente smentite da diverse successive analisi ed esperimenti. Ma ora sta per uscire un saggio dello storico Sergio Luzzatto che riaprirà la polemica. Il titolo è: L’altro Cristo. Padre Pio e l’Italia del Novecento. L’autore ha consultato le "carte segrete" degli archivi vaticani. E da lì ha preso la storia dell’acido fenico e della farmacista. Il documento è stampato in un fascicolo del Sant’Uffizio del marzo 1921. A riprova dei dubbi sollevati da Gemelli, l’allora Suprema Congregazione dottrinale presenta la deposizione giurata della ventottenne Maria De Vito: "Io sono stata un’ammiratrice di P. Pio e l’ho conosciuto di presenza la prima volta il 31 luglio 1919. Dopo essere ritornata sono rimasta a San Giovanni Rotondo un mese. Durante il mese in cui ho avuto occasione di avvicinarlo più volte al giorno, ne ho riportata sempre ottima impressione. La vigilia della mia partenza per Foggia, il P. Pio mi chiamò in disparte e con tutta segretezza, imponendo il segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli, mi consegnò personalmente una boccettina vuota, richiedendomi che gliela facessi pervenire a mezzo dello "chauffeur" che presta servizio nell’autocarro per trasporto passeggeri da Foggia a San Giovanni Rotondo con dentro quattro grammi di acido fenico puro, spiegandomi che l’acido serviva per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi. Insieme mi venivano richiesti altri oggetti come pastiglie Valda, nasalina, etc. che io mandai". Il documento del Sant’Uffizio continua informando che dopo circa un mese la giovane ricevette una lettera nella quale "le faceva richiesta di quattro grammi di veratrina. Non avendola trovata nella farmacia di sua proprietà, la richiese da un suo cugino con lettera che sta pure agli atti. Questo, impressionatissimo, la rifiutò", perché sospettava che Padre Pio potesse usarla per procurarsi le lesioni alle mani di cui già si cominciava a parlare. È noto che queste testimonianze arrivarono in Vaticano perché presentate dall’arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, nemico giurato di Padre Pio e artefice della "prima persecuzione" contro il frate, del quale diceva: "Si procura le stimmate con l’acido nitrico e poi le profuma con l’acqua di colonia". Ecco dunque su quali (labili) basi faceva queste affermazioni. Che peso dare, allora, a questa testimonianza? Non esiste alcuna prova che quei quattro grammi di acido fenico – sostanza con proprietà antisettiche, usato solitamente come disinfettante – siano stati adoperati dal futuro santo per provocarsi le ferite. E dalle migliaia di pagine del processo canonico emerge un’altra verità. Le stimmate di Padre Pio furono esaminate attentamente dal professor Festa, che il 28 ottobre 1919 scrisse una dettagliatissima relazione accertando che esse "non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e che neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti". Anche il dottor Bignami fece un esperimento sulle mani di Padre Pio, sigillando le sue piaghe per due settimane, con tanto di firme di controllo. Alla riapertura delle bende, sanguinavano come il primo giorno e non si erano né rimarginate né infettate. La prova dell’inconsistenza dell’accusa sta proprio in questo: se il frate si fosse procurato con l’acido le piaghe, queste si sarebbero chiuse oppure sarebbero andate in suppurazione. Per cinquant’anni, invece, sono rimaste inspiegabilmente aperte e sanguinanti.Il Giornale n. 250 del 2007-10-23
SERGIO LUZZATTO Luogo e data di nascita: Genova, 2.9.1963 Professore ordinario all’Università degli Studi di Torino.Insegna Storia moderna. Studioso della Rivoluzione francese, ha scritto anche di storia italiana fra Otto e Novecento, pubblicando Il corpo del duce (Einaudi 1998), L'immagine del duce (2001), La mummia della Repubblica (2001) e La crisi dell'antifascismo (2004). Con Victoria de Grazia ha curato il Dizionario del fascismo (Einaudi 2002).
E-Mail: sergio.luzzatto@libero.it sergioluzzatto@wanadoo.fr
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RAGIONE
di Gianpaolo Barra

Fa pena osservare la parabola discendente di una modernità che si è affermata attraverso una tenace, persistente, spesso cruenta contrapposizione alla "superstizione" papista. Una lotta condotta - si legge ancora in molti libri di scuola - in nome di quella "ragione" che ambiva a liberare il genere umano dalle catene di una fede che lo asserviva al potere oscurantista della Chiesa. E cominciata così, nel Settecento illuminista, l'ascesa del mondo moderno, che ha visto dispiegarsi un processo di scristianizzazione i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti. Ma la promessa di realizzare il paradiso in terra, relegando nel solaio delle favole quello promesso dal Vangelo, non si è concretizzata. Al contrario, da allora, ogni anno della storia ci ha regalato spruzzi di inferno. Giunti al termine di un lungo e sanguinoso cammino, la resa si è fatta inevitabile: accantonata la ragione, eccoci all'affermazione del pensiero debole, esplicita ammissione di sconfitta, e al trionfo del nichilismo, cioè il nulla, il vuoto, l'assenza di senso e scopo del vivere e dell'agire umano. Esisteremmo, dunque, senza sapere perché, né sapere dove andare e che cosa sia giusto fare.
Sorprende solo gli ingenui il fatto che il solo rimasto a difendere la ragione dell'uomo, con la sua capacità di cogliere il vero e il bello della realtà che ci circonda, sia papa Benedetto XVI e quanti condividono le sue riflessioni. Fatto curioso: proprio il capo di quella Chiesa che, accusata di avversione irriducibile all'umana ragione, gli illuministi volevano confinare in un angolo nascosto della storia. Per il Papa, l'uomo possiede, per sua natura, la capacità di ragionare bene. E ragionando bene, è in grado di comprendere il senso della vita, il cammino della storia, la natura del creato e di coglierne l'intrinseca verità. In questo percorso, la fede illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, l'affianca e aiuta, ma non la oscura. Più volte, Benedetto XVI ha avanzato una proposta, lanciato una sfida: diamo spazio alla ragione dell'uomo, evitando - naturalmente - di ripetere l'errore di esaltarla senza riserve e di divinizzarla, che tanto è costato al genere umano. È un invito che molti, a partire dal cosiddetto mondo degli intellettuali, non vogliono raccogliere. Hanno paura. Percepiscono che, sfidati a ragionare, corrono il "rischio" di scoprire la verità di quella fede e le ragioni di quella Chiesa che detestano. Meglio rimanere nel dubbio, conservare agi, privilegi e rendite che il mondo tributa loro, piuttosto che fare ammenda di convinzioni erronee. Anche nel "dialogo ecumenico", il Papa sembra voler condurre i suoi interlocutori ad un confronto che si ponga, come guida, la ragione. Lo ha detto a Regensburg, in un discorso tanto contestato quanto non capito dal mondo musulmano. E anche qui, la sfida non sembra venir raccolta. Si teme qualcosa. Sì, perché la ragione bene utilizzata può condurci ad affermare ben più della semplice constatazione dell'esistenza di Dio. Può farci scoprire, ad esempio, che tra coloro che di Dio ci hanno parlato, solo Gesù Cristo ha detto cose sempre certe e vere. Solo lui conosceva infallibilmente Dio. E se si dimostra questo, coloro che cristiani non sono dovranno prima riflettere e poi, inevitabilmente, ripensare certe convinzioni. Anche nella variegata famiglia di quelli che si dicono cristiani, la ragione può rettificare credenze secolari. Come quella - per fare un esempio - comune a ortodossi, anglicani e protestanti, che il Primato di Pietro sia stato congegnato dalla Chiesa cattolica e non espressamente voluto da Gesù Cristo. Insomma, con il mondo laico, con quello dei credenti in Dio e con quello dei cristiani il Papa vuole dialogare a partire dalla ragione. Non ci deve spaventare la lunghezza del cammino (Dio ha i suoi tempi che non sono i nostri). Ci spiace solo che da molti l'invito non venga accolto. IL TIMONE – Settembre/Ottobre 2007 (pag. 3)

L'enciclica contro i "modernisti" compie cent'anni. Ma sottovoce
Niente celebrazioni ufficiali per il centenario della "Pascendi". Bruciano i "metodi indegni" con cui si combatté quella battaglia. Ma le questioni al centro di quello scontro sono tuttora aperte. E il libro "Gesù di Nazaret" ne è una prova di Sandro Magister
ROMA, 23 ottobre 2007 – L'anniversario è scivolato via in silenzio, in Vaticano, senza commemorazioni ufficiali. Ma le questioni affrontate cento anni fa dall'enciclica "Pascendi Dominici Gregis" di san Pio X "sugli errori del modernismo" sono giudicate tuttora attuali. Il riserbo è dovuto piuttosto alle modalità pratiche con cui si mosse la Chiesa di un secolo fa: modalità ritenute sbagliate dalle autorità della Chiesa di oggi. Questo ha detto il nuovo direttore dell'"Osservatore Romano", il professor Giovanni Maria Vian, nella prima importante intervista rilasciata dopo la sua nomina: "Pio X fu un grande papa riformatore, che sulla questione modernista capì benissimo quale era la posta in gioco e i pericoli per la fede della Chiesa. Purtroppo la sua fama è ora legata per lo più ai modi con cui il modernismo venne combattuto, spesso con metodi indegni della causa che si intendeva difendere". E questo dicono i due unici articoli sulla "Pascendi" usciti nelle ultime settimane su organi di stampa controllati dalla gerarchia della Chiesa: "La Civiltà Cattolica", la rivista dei gesuiti di Roma stampata con l'autorizzazione previa delle autorità vaticane, e "Avvenire", il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana. Su "Avvenire" il teologo Corrado Pizziolo ha sottolineato la perdurante attualità delle questioni centrali affrontate dall'enciclica. Su "La Civiltà Cattolica", invece, lo storico gesuita Giovanni Sale, nel ricostruire la genesi e gli sviluppi di quel documento, ne ha evidenziato gli elementi ritenuti più caduchi: lo schema troppo "dottrinario", il tono troppo "duro e censorio", la successiva applicazione "eccessivamente integralista e intransigente".
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Padre Sale smentisce che dei gesuiti siano stati gli effettivi scrittori della "Pascendi". Ne indica gli autori materiali nel cardinale Vivès y Tuto, cappuccino, e in padre Lemius dei missionari di Maria Immacolata. Conferma però che "uno dei maggiori ispiratori dal punto di vista teologico e culturale" dell'enciclica fu proprio un gesuita della "Civiltà Cattolica", padre Enrico Rosa. A giudizio di padre Rosa – e di Pio X – il modernismo era "un cristianesimo nuovo che minacciava di sopprimere l'antico". Per contrastarlo bisognava colpirlo nella sua radice filosofica, nell'errore dal quale derivavano tutti gli altri errori nella teologia, nella morale, nella cultura, nella vita pratica. L'errore fondamentale attribuito ai modernisti era di negare alla ragione la capacità di conoscere la verità; per cui tutto – anche la religione, anche il cristianesimo – si riduceva a esperienza soggettiva. Padre Sale fa notare, però, che i modernisti non accettarono mai questo schema interpretativo: "Secondo essi il movimento di riforma delle scienze religiose, come era chiamato da loro, non era iniziato partendo da determinate teorie filosofiche, bensì dalla critica storica e dalla nuova esegesi della Sacra Scrittura. Essi cioè ponevano a fondamento della loro svolta non la filosofia, bensì la storia, o meglio la storia sacra, liberata dalle adulterazioni e restituita alla sua genuinità originaria, attraverso il nuovo metodo storico-critico". Inoltre, padre Sale scrive che la tendenza modernista non si estese mai alle masse popolari come invece temevano padre Rosa e Pio X: "Il movimento dei 'novatori' (almeno quello dottrinale e teologico) rimase confinato entro cerchie ristrette di studiosi cattolici, per lo più giovani preti o seminaristi". Ciò però non trattenne "alcune forze conservatrici cattoliche", negli anni successivi alla "Pascendi", dallo scatenare dentro la Chiesa "una violenta polemica antimodernista, spesso con pochi scrupoli". Il più attivo in questa campagna fu un prelato della curia vaticana, monsignor Umberto Benigni, che si mosse – annota padre Sale – "con l'approvazione e benedizione dello stesso papa". Su Benigni e sul "Sodalitium Pianum" da lui creato – una sorta di centrale spionistica nella Chiesa dell'epoca, correntemente chiamata "la Sapinière" – ha scritto studi fondamentali lo storico francese Émile Poulat.
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Diverso è l'approccio alla "Pascendi" che don Corrado Pizziolo, professore di teologia e vicario generale a Treviso, la diocesi natale di san Pio X, fa su "Avvenire". Egli richiama l'attenzione soprattutto su due questioni che erano al centro dello scontro tra Pio X e i modernisti. Per mostrare quanto esse siano ancora attuali. La prima questione riguarda l'esegesi biblica. Secondo i modernisti, in particolare Alfred Loisy, l'esegesi scientifica applicata alla Bibbia è la sola che accerta cose sicure e verificabili. La lettura di fede, invece, "non è reale: è una lettura puramente soggettiva, frutto del sentimento religioso". Scrive Pizziolo: "La condanna decretata dal magistero antimodernista concerne non l’esegesi scientifica in quanto tale, ma la dichiarata opposizione, professata dal modernismo, tra la fede e la storia, tra l’esegesi teologica e l’esegesi scientifica". Tale opposizione "continua a proporsi ancor oggi come una questione con cui fare i conti. Non si spiegherebbe altrimenti perché, cento anni dopo, Benedetto XVI dedichi la premessa del suo recente libro su Gesù di Nazareth proprio a ricordare il valore e i limiti del metodo storico-critico, insistendo sulla necessità di un’esegesi scientifica illuminata dalla fede". La seconda questione riguarda la rivelazione divina. I modernisti identificavano tale rivelazione in un'esperienza puramente interiore, nel sentimento religiose o mistico. L'enciclica "Pascendi" ribadì invece che la rivelazione viene da Dio, è Dio che parla all'uomo. E con ancor più forza il Concilio Vaticano II, nella costituzione "Dei Verbum", sottolineò che tale comunicazione si identifica nella persona di Gesù Cristo. "Tuttavia – scrive Pizziolo – tale apparente ovvietà non è affatto da dare oggi per scontata. La sensibilità della cultura anche religiosa attuale tende ad equiparare tutte le religioni esistenti, ponendole tutte sullo stesso piano. Non riappare forse l’idea che la religione – ogni religione, quindi anche il cristianesimo – non sia altro che il prodotto dello spirito umano? Che la cosiddetta 'rivelazione' non sia altro che una generica e inesprimibile esperienza del trascendente, esclusivamente frutto del sentimento religioso?". Conclude Pizziolo: "Alla luce di questi brevi cenni si può comprendere l’importanza dei temi toccati dall’enciclica 'Pascendi'. Essa affronta i fondamenti della fede cattolica, in un momento storico in cui apparivano messi seriamente in discussione. Va certamente detto che i problemi sollevati dagli autori accusati di modernismo erano problemi reali: il rapporto tra fede e storia e tra fede e scienza; la relazione tra coscienza umana e rivelazione di Dio; il rapporto tra il linguaggio umano del dogma e la verità soprannaturale che esso esprime; il senso di un’autorità nella Chiesa... Ma va anche affermato che molte delle soluzioni che venivano prospettate non erano compatibili con la fede cattolica. Di qui la doverosa necessità di un intervento del magistero. "Possiamo anche aggiungere che il magistero del tempo non disponeva di una teologia adeguata per affrontare le questioni che la nuova cultura moderna suscitava. In questo senso l’intenzione dell’enciclica non fu quella di risolvere tutti i problemi in questione, ma quella di ribadire l’identità e l’integralità della fede cattolica, riassegnando alla teologia il compito di ripensare le tematiche in questione. Un frutto di questa rinnovata riflessione possiamo certamente riconoscerlo nel Concilio Vaticano II, senza però pensare che tutti gli interrogativi sorti nel periodo modernistico abbiano trovato adeguata e definitiva soluzione. Essi rimangono, in buona parte, ancora molto attuali e richiedono nuovi sforzi di riflessione. Si tratterà però, alla luce dell’insegnamento della 'Pascendi', di uno sforzo che dovrà compiersi nel pieno rispetto dell’identità della fede e della tradizione di quel popolo di Dio che è la Chiesa".

L’amore e la ragione in quel bacio alla reliquia

di DAVIDE RONDONI
Avvenire, 23.10.2007

È stato un bacio lungo. Come se per un attimo non volesse staccarsi. Dal calore secolare di quel sangue, che è anche il calore popolare di una devozione. Il papa teologo, il papa filosofo, che sta sfidando i grandi intellettuali e la mentalità dominante sull’uso retto della ragione era lì inchinato, a baciare, per un attimo a non staccarsi dalla reliquia. Dal cuore fedele di Napoli. Dalla presenza carnale del Santo. Il Papa della ragione, il grande colto che ogni cenacolo intellettuale del mondo invidia a noi cattolici, e dopo le diffidenze sta stimando come voce libera e aperta, il Papa che ama ragionare finemente, se ne stava lì come ho veduto mille volte fare mia nonna, le nostre nonne. Come ho fatto anch’io, che so ragionare poco, ultimo dei cattolici e dei peccatori. Il suo bacio di Papa, il suo onore di Papa, per così dire al pari del bacio delle nostre nonne, della nostra devozione e del nostro povero affidamento. Si è visto, non ha voluto staccarsi subito. Non ha voluto dare un omaggio formale, un bacio freddo. C’era tutto il suo affidamento di uomo, e di Papa, nel ripetere con forza il gesto che dal 1389 compiono tutti i semplici pellegrini, quelli con una grande fede, e quelli con una fede così così, quelli con l’anima linda e quelli con l’anima in tempesta. Il bacio al sangue del martire.Gesto irrazionale da parte del Papa che parla di ragione? Gesto 'bigotto' da parte del Papa che ha con lungimiranza civile invitato a puntare su scuola e lavoro per rispondere alle sfide e ai pericoli sociali ?Due Papi? Due volti diversi? O forse uno solo, il volto del mendicante, che riconosce la grandezza della Presenza all’origine del miracolo e di tutti i miracoli. Che lo riconosce con piena ragione, con la ricca disponibilità delle sue risorse intellettuali. Le quali lo rendono semplice, e quasi bambinesco, umilmente attaccato con il bacio a quella reliquia. Che è segno, traccia, poco sangue che si è arricchito del sangue e della presenza carnale dei cristiani di Napoli, segno di un sangue del passato e di una umana presenza che giunge fino ad oggi. Fino al medico Moscati, e a quelli che come lui ancora incontrano senza riserve il bisogno dei vicoli, e rispondono alla grande domanda di senso che viaggia nei vicoli del cuore di ogni uomo, ricco o povero che sia. Il bacio del Papa teologo, il suo omaggio dato al miracolo amato dal popolo è un grande segno della Chiesa intesa come vita, come movimento di ragione e di cuore che tocca la concreta storia e riconosce l’azione del mistero. L’uso alto, aperto, radicale e sensibile della ragione trova nel gesto del bacio, non una smentita, ma il suo fuoco, il fiore di adesione al mistero che della ragione è culmine. Un ragionare che non sbocciasse in amore sarebbe un’arida analisi, sarebbe una comprensione monca. E non un amor qualsiasi. Non un amore a vanvera. Ma il bacio, l’omaggio dato a una presenza che nutre la storia con il richiamo al sacrificio e con la speranza. Per questo non voleva staccarsi. Affidando sé, le sue preoccupazioni di Papa, cose che ci fanno tremare i polsi, come ogni uomo affida le proprie, e tutte ci fanno tremare i polsi. È stato un bacio che resta come un segno forte in quest’epoca dura. Un bacio dato per un empito della ragione, per un riconoscimento, pieno di mendicanza e di tutta la nostra alta statura d’uomini.


in dialogo: Fede e scienza, vie verso la verità
VALERIA CHIANESE
Avvenire, 23.10.2007
I l rapporto fede-scienza è uno dei grandi temi del meeting. Un rapporto a volte conflittuale, che a Na­poli è stato analizzato su pia­ni diversi – storico e filosofi­co, etico e artistico. Suggesti­vo il paragone cui è ricorso Athanasios. Il metropolita or­todosso greco ha ricordato l’opera di un artista cipriota nota come la Madonna di Ge­rusalemme: pianeti che da tutte le frontiere dell’univer­so convergono verso il cuore di Maria, al centro del dipin­to, e che sembrano cercare il sublime segreto della Madre – segreto che è Gesù, dono d’amore. "È questo il mes­saggio che la Bibbia vuol tra­smettere all’uomo", ribadisce Athanasios ripercorrendo il cammino storico-filosofico dal Medioevo ad oggi sulla definizione del rapporto tra fede e natura, e ovunque si ve­da la mano di Dio. "Il dialogo tra fede e scienza resta ne­cessario " ha sottolineato in­dicando le singolarità che lo caratterizzano. La prima è l’a­pertura che la fede ha di fron­te alla Rivelazione e che la scienza ha di fronte alla co­noscenza. La seconda è il co­mune desiderio della verità: entrambe cercano risposta al­l’eterna domanda che l’uomo si pone, "chi sono io?". "Ma – ha concluso Athanasios – nessun essere umano può sentirsi realizzato senza l’a­more di Dio". La conoscenza come espe­rienza fondamentale per l’uo­mo è stata l’affermazione ca­tegorica di Sayed Moham­med Mousavi Boujnourdi, del Centro Studi Islamici in Iran, che ha affermato: "La penna dello studioso è superiore al sangue dei martiri e più l’uo­mo conosce più è vicino a Dio poiché l’origine di ogni cosa appartiene a Dio e di conse­guenza ogni scienza e cono­scenza è manifestazione di Dio". Un esempio? Il dibatti­to sulla clonazione, il cui si­gnificato – anche alla luce del­l’islam – non solo chiama al confronto fede e scienza, ma anche la vita civile e la legi­slazione rispetto alla fede."Alla scienza non chiediamo nulla oltre quello che è nelle sue potenzialità: la povertà o la guerra non ricadono nel suo occhio", ha esordito Fran­cesco Paolo Casavola, presi­dente del Comitato naziona­le per la bioetica che ha ri­cordato come la bioetica sia nata nel secondo dopoguer­ra, quando di fronte alle atro­cità commesse nei lager na­zisti si sentì il bisogno di un pensiero e di norme per tute­lare la dignità e l’integrità u­mana di fronte agli abusi del­la scienza.Per Riccardo Di Segni, medi­co, rabbino Capo di Roma, "il conflitto tra fede e scienza non è una novità ma è un confronto assurdo perché fe­de e scienza si occupano di cose differenti". Ciò nono­stante, fede e scienza s’in­contrano – e scontrano –sui grandi temi della vita. "Ma co­sa spinse Mosè – spiega Di Se­gni – ad avvicinarsi, lui pa­store, al roveto ardente? Al di là di tutte le interpretazioni, una cosa: la curiosità". Così il cerchio si chiude. I pianeti dell’artista cipriota e Mosè: entrambi mossi dal desiderio di conoscenza e di verità, ri­posto in Dio.



Il Papa: la preghiera è la forza che cambia un mondo ingiusto DA CRISTIANI NELLA STORIA
Avvenire, 23.10.2007 Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata domenica mattina da Benedetto XVI durante la Messa da lui stesso presieduta in Piazza del Plebiscito, prima tappa del viaggio pastorale del Pontefice a Napoli. Venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, distinte autorità, cari fratelli e sorelle! Con grande gioia ho accolto l’invito a visitare la comunità cristiana che vive in questa storica città di Napoli. Al vostro arcivescovo, il cardinale Crescenzio Sepe, va innanzitutto il mio abbraccio fraterno e un grazie speciale per le parole che, anche a nome vostro, mi ha rivolto all’inizio di questa solenne Celebrazione eucaristica. L’ho inviato alla vostra comunità conoscendone lo zelo apostolico, e sono contento di constatare che voi lo apprezzate per le sue doti di mente e di cuore. Saluto con affetto i vescovi ausiliari e il presbiterio diocesano, come pure i religiosi e le religiose e le altre persone consacrate, i catechisti e i laici, particolarmente i giovani attivamente impegnati nelle varie iniziative pastorali, apostoliche e sociali. Saluto le distinte autorità civili e militari che ci onorano della loro presenza, ad iniziare dal presidente del Consiglio dei Ministri, dal sindaco di Napoli e dai presidenti della Provincia e della Regione. A tutti voi, convenuti in questa piazza davanti alla monumentale Basilica dedicata a San Francesco di Paola della cui morte ricorre quest’anno il quinto centenario, rivolgo il mio cordiale pensiero, che estendo volentieri a quanti sono collegati mediante la radio e la televisione, specialmente alle comunità di clausura, alle persone anziane, a chi sta negli ospedali, ai carcerati e a coloro che non potrò incontrare in questo mio breve soggiorno napoletano. In una parola, saluto l’intera famiglia dei credenti e tutti i cittadini di Napoli: sono in mezzo a voi, cari amici, per spezzare con voi la Parola e il Pane della Vita.
Meditando sulle letture bibliche di questa domenica e pensando alla realtà di Napoli, sono rimasto colpito dal fatto che oggi la Parola di Dio ha come tema principale la preghiera, anzi, "la necessità di pregare sempre senza stancarsi", come dice il Vangelo (cfr Lc 18,1). A prima vista, questo potrebbe sembrare un messaggio non molto pertinente, poco incisivo rispetto ad una realtà sociale con tanti problemi come la vostra. Ma, riflettendoci, si comprende che questa Parola contiene un messaggio certamente controcorrente, destinato tuttavia ad illuminare in profondità la coscienza di questa vostra Chiesa e di questa vostra città. Lo riassumerei così: la forza, che in silenzio e senza clamori cambia il mondo e lo trasforma nel Regno di Dio, è la fede – ed espressione della fede è la preghiera. Quando la fede si colma d’amore per Dio, riconosciuto come Padre buono e giusto, la preghiera si fa perseverante, insistente, diventa un gemito dello spirito, un grido dell’anima che penetra il cuore di Dio. In tal modo la preghiera diviene la più grande forza di trasformazione del mondo. Di fronte a realtà sociali difficili e complesse, come sicuramente è anche la vostra, occorre rafforzare la speranza, che si fonda sulla fede e si esprime in una preghiera instancabile. È la preghiera a tenere accesa la fiaccola della fede. Domanda Gesù: "Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" ( Lc 18,8). Quale sarà la nostra risposta a questo inquietante interrogativo?
Quest’oggi, vogliamo insieme ripetere con umile coraggio: Signore, la tua venuta tra noi in questa celebrazione domenicale ci trova radunati con la lampada della fede accesa. Noi crediamo e confidiamo in te! Accresci la nostra fede!
Le letture bibliche che abbiamo ascoltato ci presentano alcuni modelli a cui ispirarci in questa nostra professione di fede. Sono le figure della vedova che incontriamo nella parabola evangelica e quella di Mosè di cui parla il libro dell’Esodo. La vedova del Vangelo (cfr Lc 18,1-8) fa pensare ai "piccoli", agli ultimi, ma anche a tante persone semplici e rette, che soffrono per le sopraffazioni, si sentono impotenti di fronte al perdurare del malessere sociale e sono tentate di scoraggiarsi. A costoro Gesù ripete: osservate questa povera vedova con quale tenacia insiste e alla fine ottiene ascolto da un giudice disonesto! Come potreste pensare che il vostro Padre celeste, buono e fedele, il quale desidera solo il bene dei suoi figli, non vi faccia a suo tempo giustizia? La fede ci assicura che Dio ascolta la nostra preghiera e ci esaudisce al momento opportuno, anche se l’esperienza quotidiana sembra smentire questa certezza. In effetti, davanti a certi fatti di cronaca, o a tanti quotidiani disagi della vita di cui i giornali non parlano neppure, sale spontaneamente al cuore la supplica dell’antico profeta: "Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: 'Violenza!' e non soccorri?" ( Ab 1,2). La risposta a questa invocazione accorata è una sola: Dio non può cambiare le cose senza la nostra conversione, e la nostra vera conversione inizia con il "grido" dell’anima, che implora perdono e salvezza. La preghiera cristiana non è pertanto espressione di fatalismo e di inerzia, anzi è l’opposto dell’evasione dalla realtà, dell’intimismo consolatorio: è forza di speranza, massima espressione della fede nella potenza di Dio che è Amore e non ci abbandona. La preghiera che Gesù ci ha insegnato, culminata nel Getsemani, ha il carattere dell’"agonismo" cioè della lotta, perché si schiera decisamente al fianco del Signore per combattere l’ingiustizia e vincere il male con il bene; è l’arma dei piccoli e dei poveri di spirito, che ripudiano ogni tipo di violenza. Anzi rispondono ad essa con la non violenza evangelica, testimoniando così che la verità dell’Amore è più forte dell’odio e della morte.
Questo emerge anche dalla prima lettura, il celebre racconto della battaglia tra gli Israeliti e gli Amaleciti (cfr Es 17,8-13a). A determinare le sorti di quel duro conflitto fu proprio la preghiera rivolta con fede al vero Dio. Mentre Giosuè e i suoi uomini affrontavano sul campo gli avversari, Mosè stava sulla cima della collina con le mani alzate, nella posizione della persona in preghiera. Queste mani alzate del grande condottiero garantirono la vittoria di Israele. Dio era con il suo popolo, ne voleva la vittoria, ma condizionava questo suo intervento alle mani alzate di Mosè. Sembra incredibile, ma è così: Dio ha bisogno delle mani alzate del suo servo! Le braccia levate di Mosè fanno pensare a quelle di Gesù sulla croce: braccia spalancate ed inchiodate con cui il Redentore ha vinto la battaglia decisiva contro il nemico infernale. La sua lotta, le sue mani alzate verso il Padre e spalancate sul mondo chiedono altre braccia, altri cuori che continuino ad offrirsi con il suo stesso amore, fino alla fine del mondo. Mi rivolgo particolarmente a voi, cari pastori della Chiesa che è in Napoli, facendo mie le parole che san Paolo rivolge a Timoteo e che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura: rimanete saldi in ciò che avete imparato e di cui siete convinti. Annunciate la parola, insistete in ogni occasione, opportuna e non opportuna, ammonite, rimproverate, esortate con ogni magnanimità e dottrina (cfr 2 Tm 3,14.16; 4,2). E come Mosè sulla montagna, perseverate nella preghiera per e con i fedeli affidati alle vostre cure pastorali, perché insieme possiate affrontare ogni giorno la buona battaglia del Vangelo.Ed ora, interiormente illuminati dalla Parola di Dio, torniamo a guardare alla realtà della vostra città, dove non mancano energie sane, gente buona, culturalmente preparata e con un senso vivo della famiglia. Per molti però vivere non è semplice: sono tante le situazioni di povertà, di carenza di alloggio, di disoccupazione o sottoccupazione, di mancanza di prospettive future. C’è poi il triste fenomeno della violenza. Non si tratta solo del deprecabile numero dei delitti della camorra, ma anche del fatto che la violenza tende purtroppo a farsi mentalità diffusa, insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e nelle periferie nuove e anonime, col rischio di attrarre specialmente la gioventù, che cresce in ambienti nei quali prospera l’illegalità, il sommerso e la cultura dell’arrangiarsi.Quanto è importante allora intensificare gli sforzi per una seria strategia di prevenzione, che punti sulla scuola, sul lavoro e sull’aiutare i giovani a gestire il tempo libero. È necessario un intervento che coinvolga tutti nella lotta contro ogni forma di violenza, partendo dalla formazione delle coscienze e trasformando le mentalità, gli atteggiamenti, i comportamenti di tutti i giorni. Formulo questo invito ad ogni uomo e donna di buona volontà, mentre si tiene qui a Napoli l’Incontro tra i leader religiosi per la pace, che ha come tema: " Per un mondo senza violenza. Religioni e culture in dialogo ".Cari fratelli e sorelle, l’amato papa Giovanni Paolo II visitò Napoli la prima volta nel 1979: era, come oggi, la domenica 21 ottobre! La seconda volta venne nel novembre del 1990: una visita che promosse la rinascita della speranza. La missione della Chiesa è nutrire sempre la fede e la speranza del popolo cristiano. Questo sta facendo con zelo apostolico anche il vostro arcivescovo, che di recente ha scritto una lettera pastorale dal titolo significativo: "Il sangue e la speranza". Sì, la vera speranza nasce solo dal sangue di Cristo e da quello versato per lui. C’è sangue che è segno di morte; ma c’è sangue che esprime amore e vita: il sangue di Gesù e dei martiri, come quello del vostro amato patrono san Gennaro, è sorgente di vita nuova. Vorrei concludere facendo mia un’espressione contenuta nella lettera pastorale del vostro arcivescovo: "Il seme della speranza è forse il più piccolo, ma può dar vita ad un albero rigoglioso e portare molti frutti". Questo seme a Napoli c’è e agisce, malgrado i problemi e le difficoltà. Preghiamo il Signore perché faccia crescere nella comunità cristiana una fede autentica e una salda speranza, capace di contrastare efficacemente lo scoraggiamento e la violenza. Napoli ha certo bisogno di adeguati interventi politici, ma prima ancora di un profondo rinnovamento spirituale; ha bisogno di credenti che ripongano piena fiducia in Dio, e con il suo aiuto si impegnino per diffondere nella società i valori del Vangelo. Chiediamo per questo l’aiuto di Maria e dei vostri santi protettori, in particolare di san Gennaro. Amen!Benedetto XVI


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