In America latina e centrale si viene ammazzati perché catechisti
Denuncia il Cardinale Cláudio Hummes
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 8 novembre 2007 (ZENIT.org).- “In America latina e in America centrale, ma non solo, ci sono catechisti ammazzati perché catechisti, cioè testimoni e annunciatori di Cristo e di una verità rivoluzionaria: Dio ama l'uomo”, denuncia il Prefetto della Congregazione vaticana per il Clero.
Con questo commento “L'Osservatore Romano”, nella sua edizione del 7 novembre, ha aperto l'intervista al Cardinale Cláudio Hummes, O.F.M., sul recente messaggio da lui dedicato ai catechisti di tutto il mondo.
Il porporato, scrive il quotidiano della Santa Sede, “alza la voce per affermare davanti al mondo una verità che non può e nono deve essere nascosta”.
La catechesi è uno dei compiti affidati alla Congegazione per il Clero, ha spiegato il Cardinale Prefetto, e per questa ragione dopo aver indirizzato un messaggio ai sacerdoti e ai diaconi permanenti, ha voluto rivolgersi direttametne ai catechisti nella festa di San Luca evangelista, cosciente dell'importanza di avere “un rapporto personale con tutti”.
Soprattutto perché, ha aggiunto, “i catechisti vivono situazioni molti diverse, addirittura opposte”, “con enormi disparità” fra il Nord e il Sud del mondo.
“Ci sono catechisti – ha affermato – che svolgono la loro missione in un mondo molto sviluppato, anche intellettualmente e culturalmente oltre che economicamente”, “ma c'è anche tutto un mondo ancora molto semplice, dove la gente non sa né leggere né scrivere e non ha possibilità di istruzione”.
“In queste realtà missionarie i catechisti svolgono un'azione che, a volte, è veramente eroica”, tanto che “molti muoiono per la fede”, ha sottolineato.
“L'ho visto personalmente in America latina e in America centale dove ci sono state repressioni violente – ha raccontato –. Lì sono stati ammazzati catechisti proprio perché catechisti. Lo stesso è accaduto anche in Africa. Del resto, ci sono catechisti martiri già beatificati. E' un esercito imponente presente in tutto il mondo, sempre in prima linea”.
Per questa ragione, nella sua recente lettera, il porporato ha ringraziato e incoraggiato i catechisti a irrobustire la loro fede “con la preghiera, con la formazione, con la carità”.
Il catechista – ha spiegato – “è un uomo della gioia”, “della esperienza”, “capace di coltivare relazioni di amore autentiche”.
E “in un mondo spesso senza speranza, in preda alla violenza e all'egoismo, ogni gesto del catechista, ogni sorriso, ogni parola deve essere una testimonianza che il Signore ama l'uomo”, ha aggiunto.
Per questo, il catechista “deve essere vero discepolo di Gesù Cristo”: “una persona che ha già incontrato Cristo, che ha compiuto una scelta personale e comuitaria per Cristo”; “una persona in ascolto e in ricerca continua di Cristo”, una persona orientata a Lui “nel cuore della Chiesa” e fedele al suo insegnamento.
Fondamentale, ha proseguito il porporato, è che il catechista abbia “una formazione sufficiente per la sua missione, adattandosi alla regione in cui si trova a vivere”, cosciente che è necessario “trasmettere il catechismo nella sua integralità e non solo una parte”.
Il suo consiglio ai catechisti, ha continuato, è “far capire che Dio ci ama”; “ripetiamo alla gente di amare Dio, ma dimentichiamo di dare la bella notizia che Dio ci ama”.
“Noi saremo capaci di amare Dio soltanto se prima abbiamo fatto esperienza che Lui ci ama”, ha concluso.
IL CASO DI PERUGIA: INSOSTENIBILE MORTALE LEGGEREZZA
Come un video mosso che si fa tragedia
MARINA CORRADI
Avvenire, 8.11.2007
P er l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia ci sono tre fermati. Quale sia l’assassino, non si sa. Chi nega, chi cambia in 24 ore la deposizione, chi non ricorda. Quella che ricorda di più è la ventenne americana compagna di casa della vittima, con molte lacune però.
Ricorda che quella sera del primo novembre l’amico congolese Patrick Lumumba entrò in camera di Meredith, e di avere poi sentito le grida dell’amica. L’accusato nega. Il fidanzato dell’americana, Raffaele Sollecito, 24 anni, ricorda ancora meno. «Quella sera mi sono fatto una canna, ho cenato, non so cosa ho mangiato. La mia ragazza è tornata, non ricordo come era vestita, non ricordo se abbiamo fatto l’amore».
E chi è stato materialmente a uccidere Meredith, perché non voleva stare al gioco di sesso deciso per quella sera, lo dovranno capire i magistrati. Dai verbali di Perugia emerge però – dentro alla città universitaria, migliaia di studenti da tutto il mondo, una babele di lingue e di incontri – uno spaccato che spaventa. A raccontarlo è il blog di Raffaele Sollecito, che on line metteva le sue foto – «sono biondo, ho un fisico atletico» – e in lunghe pagine di diario raccontava la noia degli esami falliti, e della vita in collegio, «quando cominci a andare di testa cerchi una valvola per respirare», e le canne, tante canne con gli amici, e poi l’opaco ritorno alla vita normale: «Si può solo sperare che un giorno delle emozioni più forti ti colpiscano ancora». E quando il padre telefona, urlando per quegli esami non dati, il figlio risponde: «Papà, io non so neanche perché sono al mondo».
Il che non è di certo un indizio di colpevolezza, ma dice di un certo humus, di un alveo in cui può accadere che una sera si decida, per cercare emozioni, un nuovo gioco.
Magari un po’ fumati, un po’ annoiati.
Occorre proprio un gioco nuovo.
Niente di organizzato, o freddamente premeditato. Si improvvisa. Un amico passa da casa, «voleva Meredith», ha raccontato la compagna di stanza.
Così come si vuole un cellulare nuovo, un amico di passaggio quella sera «voleva» Meredith. È confusa come un video girato male la testimonianza della ragazza. Urla, tonfi, forse, non so, non ricordo. E non capisci quanto è reticenza e quanto i fumi di qualcosa.
O se proprio quella vaghezza non è un modo di vivere, quando «cominci a andare di testa e cerchi una valvola per respirare», e finché sono le feste in discoteca va bene, ma poi che noia, «non so perché sono venuto al mondo». Dipendenza da emozioni forti – anche quelle danno assuefazione, come una droga. «Si può solo sperare che emozioni più forti ti colpiscano ancora».
E allora, una sera come un’altra, una festa, l’amico che «vuole» Meredith, l’altra amica che resta in cucina e cerca di non sentire, il terzo chissà, lui dice che s’era fatto una canna, ma non ricorda bene. In questa inarginabile leggerezza, l’unica cosa netta è il «no» della ragazza pretesa come un oggetto. «No», dice Meredith, e non sa di pronunciare la sua condanna. Perché in quel giro si doveva dire sempre di «sì», non opporsi al flusso travolgente della voglia dell’istante, al piacere dell’attimo fuggente. Tutto si poteva fare e accettare, tutto era ammesso, tranne che un «no, non voglio».
E nulla era stato programmato, e lo stesso assassino, forse, un’ora prima non immaginava come sarebbe finita la serata. L’imprevisto, folle deragliamento di uomini educati a lasciarsi andare dove porta la voglia, e l’emozione, senza trovare mai argini. Il dispetto, e poi l’ira, di fronte a quella assurda obiezione: «no». Dopo l’istante di furia, tutto ritorna vago. Ho sentito, non ho sentito, non ricordo.
L’insostenibile leggerezza del male.
Come un video mosso, senza capo né coda, nelle mani tremanti di un ubriaco.
«Dolce morte», c’è chi ci ripensa
scenari
Dalla Spagna alla Gran Bretagna, dall’intellettualità laica francese ai medici olandesi: l’eutanasia piace sempre di meno ai suoi sostenitori L’Italia rifletta: un motivo ci sarà...
Avvenire, 8.11.2007
Soffiano venti di cambiamento, in Europa, sul tema dell’eutanasia. E piano piano si comincia , un po’ ovunque, a comprendere come eventuali leggi che consentissero la depenalizzazione o la legalizzazione della 'dolce morte' non avrebbero alcuna utilità, anzi danneggerebbero la buona qualità della convivenza civile. È il caso della Spagna, dove solo pochi giorni fa il parlamento spagnolo ha respinto, con i voti del Partito socialista (Psoe) al governo, una proposta di legge del partito di sinistra Izquierda Unida per la depenalizzazione dell’eutanasia. E che non si tratti di un fatto casuale è dimostrato dalla dichiarazione successiva alla votazione, fatta dal primo ministro Zapatero, il quale ha affermato che la depenalizzazione dell’eutanasia non farà parte del programma del suo partito per le elezioni del 2008, mentre era dentro il programma del Partito socialista nel 2004. Interessanti le motivazioni della retromarcia: si è ammesso esplicitamente che l’eutanasia non è un problema prioritario per la gente e che la proposta di introdurla viene da gruppi minoritari, fortemente ideologizzati.
Anche in Gran Bretagna, nonostante le forti pressioni del fronte eutanasico, la Camera dei Lords rimanda continuamente e per lunghi periodi la discussione sul progetto di legge per depenalizzare l’eutanasia: una lentezza insolita per un Paese pragmatico che negli ultimi mesi ci ha abituati a decisioni rapide e perentorie sui temi più controversi della bioetica. Il motivo va ricercato nel fatto che l’eutanasia non appare ai più come una soluzione convincente alle problematiche dei pazienti terminali. In Francia, d’altronde, un netto no all’eutanasia è stato pronunciato dalla recente legge (2005) sulle decisioni di fine vita. Ma ciò che suscita un grande interesse a chi si affaccia nel panorama culturale francese è la presa di posizione di intellettuali laici, che si sono pronunciati contro l’eutanasia e a favore dello sviluppo delle cure palliative. La filosofa Paula Lamarne ha pubblicato un libro nel quale esprime, con vera competenza, limpide argomentazioni e profondo senso di umanità, le ragioni per cui l’eutanasia si configura come «scelta disumana» e «non degna di una società civile», mettendo in rilievo l’arretratezza culturale del fronte pro eutanasia, che non capisce come la vera risposta ai problemi di fine vita risiede nello sviluppo a tappeto delle cure palliative. Altra posizione contraria che ha fatto scalpore Oltralpe è quella del grande medico e scienziato non credente Lucien Israel, che ha mostrato come l’eutanasia non sia né un gesto di umanità né un atto di compassione, quanto una pratica che mette in discussione la professione medica e, più profondamente, il legame di umanità tra le persone.
Ultimamente anche l’Olanda, che è stata pioniera in Europa e nel mondo della pratica eutanasica, ha cominciato a riconoscere che la via delle cure palliative, con la globalità di approcci che le caratterizza, si presenta come quella più attenta ai bisogni delle persone sofferenti o prossime alla morte per malattie incurabili. Dobbiamo auspicare che il dibattito italiano faccia tesoro di questa nuova consapevolezza e che si sviluppino celermente politiche per assicurare su tutto il territorio nazionale cure palliative di alta qualità.
di Michele Aramini
DESIDERIAMO SAPERE CHI PROTEGGE LA PILLOLA RU486
EUGENIA ROCCELLA
Avvenire, 8.11.2007
Questa volta è vero: la Exelgyn, l’azienda che produce la pillola abortiva Ru486, ne ha chiesto la registrazione all’Aifa, l’ente italiano di controllo dei farmaci. Negli ultimi due anni lo stesso annuncio è stato fatto almeno una decina di volte; poi, regolarmente, il grande evento non si verificava. La Exelgyn diffida dei Paesi in cui esiste un’opinione pubblica vigile, capace di intentare cause legali o di aprire il dibattito su questioni imbarazzanti. È per questo che la ditta francese non ha mai voluto commercializzare la Ru486 in America, nonostante il presidente Clinton l’abbia pregata insistentemente di farlo. Queste pressioni sono ormai pubbliche, grazie all’apertura degli Archivi Clinton, e altrettanto pubbliche sono le lettere di risposta inviate al presidente americano dalla Exelgyn, in cui si afferma chiaramente che l’azienda sarebbe entrata nel mercato Usa solo se l’amministrazione Clinton le avesse garantito una sorta di immunità giudiziaria. Alla fine, piuttosto che cedere, la ditta ha preferito regalare il brevetto a un’organizzazione antinatalista americana, sottraendosi così a ogni responsabilità legale.
La Exelgyn aveva visto giusto: è negli Stati Uniti che lo scandalo delle donne morte –15, a tutt’oggi – e degli eventi avversi provocati dal farmaco è finalmente approdato sui mass media, con un giornale 'liberal' come il New York Times a fare da battistrada.
Tutt’altra storia in Europa, dove le morti non hanno mai avuto l’onore di un titolo di cronaca, nemmeno quando la vittima era figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica francese. L’Italia, però, è un Paese anomalo. Ci sono i cattolici, c’è una parte di laici che si rifiuta di aderire alle banalizzazioni del dogmatismo scientista, c’è stata una vittoria significativa al referendum sulla legge 40. Così la Exelgyn ha preso tempo. Non avendo fiducia nella sicurezza del proprio prodotto, ha cercato, come sempre, l’appoggio dei politici, e alcuni hanno risposto.
Inizia quindi la campagna a favore della pillola, che prosegue nonostante il fallimento della sperimentazione aperta nel settembre 2005 all’ospedale torinese Sant’Anna. Qualche assessore regionale alla Sanità, come Enrico Rossi in Toscana, decide di promuovere l’importazione diretta del farmaco. Ma l’azienda esita ancora, vuole impegni più circostanziati, o forse a livello più alto. Le garanzie evidentemente arrivano, se la Exelgyn dichiara oggi ad 'Avvenire' che la richiesta di registrare il farmaco proviene da «autorità italiane».
Quando e da chi arriva la richiesta, e perché la politica è così interessata a un metodo abortivo? Quando, non lo sappiamo. Sappiamo però che l’azienda ha mutato atteggiamento dopo il convegno romano della Fiapac, la Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, tenuto un anno fa e sponsorizzato proprio dalla Exelgyn. In quell’occasione il ministro Emma Bonino e Maura Cossutta, consulente del ministro della Salute, portarono ai convegnisti il proprio benvenuto. Il perché, invece, lo sappiamo benissimo: la Ru486, sinonimo di aborto a domicilio, serve a scardinare l’attuale legge sull’aborto senza passare dal Parlamento, dove non c’è una maggioranza per modificarla.
Il ministro Livia Turco ha garantito che, nel caso la pillola fosse autorizzata dall’Aifa, si adopererà «affinché l’impiego del farmaco avvenga nel totale rispetto delle esigenze di tutela della salute della donna, garantite dalla legge 194». Noi le crediamo, ma che «autorità italiane » abbiano sollecitato la Exelgyn desta serissime preoccupazioni. Introdurre la pillola abortiva è una scelta etica e politica grave. E noi non staremo a guardare.
Le memorie del Cardinal Biffi: “Piccola contestazione al Grande Digiunatore”
ROMA, mercoledì, 7 novembre 2007 (ZENIT.org).- Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto del volume autobiografico del Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo emerito di Bologna, dal titolo: "Memorie e digressioni di un italiano cardinale" (Edizioni Cantagalli, Siena, 2007, pp. 640, Euro 23,90).
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XIX digressione
PICCOLA CONTESTAZIONE
AL GRANDE DIGIUNATORE
Chi è?
Nessuno mi chieda nome e cognome del Grande Digiunatore: non è un singolo personaggio, sono in parecchi e tutti, a diverso titolo e con diversa pertinenza, entrano a dare figura concreta e situazione storica a un tipo umano generale e astratto. Il primo e più onorato tra essi è senza dubbio il Mahatma Gandhi: mahatma in sanscrito significa “grande anima”; ma poi, nell’arte del digiuno annunciato e ostentato, sono seguite “anime” di tutte le misure. Il Grande Digiunatore non si accontenta di non mangiare per suo estro, nel segreto della sua casa o addirittura in località deserta (come Gesù Cristo): egli fa del suo digiuno un manifesto di propaganda. Non si astiene dal cibo per ragioni sue, ascetiche o sanitarie o di estetica personale: mette la sua rinuncia al servizio di qualche importante causa umanitaria.
Una spontanea antipatia
Sarà perché non ho avuto il dono di un’estrazione borghese (e sono stato abituato a rispettare e a temere la fame) o perché sono incline a non fidarmi facilmente degli eroismi gratuiti, ma il Grande Digiunatore non ha mai riscosso le mie simpatie. È qualcosa di istintivo, e non è detto che gli istinti diano sempre suggerimenti encomiabili. Perciò ho cercato dentro di me quali siano i motivi razionalmente enunziabili di questo stato d’animo di ripulsa: in chi è illuminato dalla fede è normale l’abitudine di verificare se ci sia – e quale sia – la ragione oggettiva dei suoi atti e dei suoi comportamenti. Noi credenti siamo abituati a ragionare.
Le ragioni della contestazione
La prima e meno elevata causa del mio malanimo è che il Grande Digiunatore, quando decide di privarsi del suo pranzo, un poco guasta anche il mio. Su questo argomento la mia sensibilità è acuta: il solo pensiero che una creatura umana, un figlio di Dio, un mio fratello (sia pure un po’ alla lontana) si astenga a lungo da cibi che pure sono di sua facile disponibilità (e perciò istante dopo istante interpellano naturalmente la sua crescente voracità) mi sconvolge. Una volta appresa la notizia della sciagurata iniziativa, anche l’onesto piatto di tagliatelle, che stava aspettandomi con l’abituale amicizia, perde la sua bonarietà bolognese, mi guarda male, sembra colpevolizzarmi. Ma che c’entro io, nella mia pochezza, con le grandi battaglie dei superuomini? Ma c’è qualcosa di più grave. Le iniziative tipiche del Grande Digiunatore sono in fondo di natura ricattatoria: si tenta
con esse di estorcere, attraverso una forma specifica di violenza psicologica e morale, un consenso, una complicità, un adeguamento comportamentale; in certi casi addirittura un provvedimento legislativo e di governo. E questo non è accettabile. L’eventuale valore della tesi, che così si vuole imporre, non attenua affatto l’odiosità del procedimento. Né il convincimento soggettivo maturato in buona fede può costituire una scusante.
Nel mondo contemporaneo il ricatto è un uso abbastanza diffuso, con una fenomenologia molteplice e disparata. Sul ricatto vive l’industria dei rapimenti e delle devastazioni minacciate; di prospettive ricattatorie si serve talvolta l’adolescente che ha deciso di farsi regalare il motorino dai genitori riluttanti; ricatta anche l’uomo politico che preannuncia un’inutile o dannosa crisi parlamentare se non vede soddisfatta una sua pretesa. E così via.
Poco o tanto, sono sempre azioni abominevoli, perché insidiano la libertà di decisione dell’uomo, che si vede se non costretto almeno sospinto a pensare, a parlare, ad agire, contro il suo parere e la sua volontà; e soprattutto contro la ragione. La terza rimostranza è ancora più intrigante. Il Grande Digiunatore non si abbassa mai a spiegare ai “piccoli”, che rapporto ci sia tra la sua “laica” penitenza e la bontà della causa che egli intende promuovere. Egli si sacrifica nobilmente a favore di qualche mèta che gli sta a cuore, ma ritiene superfluo chiarire l’intrinseca relazione tra il suo digiuno e il traguardo che intende conseguire.
La sua è dunque una richiesta di assenso e di condivisione, sollecitata non con la forza di argomentazioni ineccepibili, ma con un metodo che esula da qualsivoglia razionalità. Anzi, la pressione per convincere, esercitata sugli animi, tende a debilitare le menti attraverso la nebbia delle emozioni e della pietà. Dal Grande Digiunatore io mi sento dunque attaccato e offeso nella mia logica sostanziale. E ciò che programmaticamente va contro il dono divino della ragione non può essere tollerato.
La cosa è tanto più abnorme in quanto spesso (non sempre) il Grande Digiunatore è un devoto della conoscenza puramente naturale (e non ammette per principio che si dia altra luce); e quindi del razionalismo più rigoroso. Ma forse qui è il caso di ricordare l’osservazione di Chesterton: «Coloro che usano la ragione non la venerano, la conoscono troppo bene; coloro che la venerano non la usano».
Sua Santità Benedetto XVI
«San Girolamo» UDIENZA GENERALE 07.11.2007
DAL GIURAMENTO DI IPPOCRATE A QUELLO DEGLI IPOCRITI. Il trauma post aborto.
Di Cinzia Baccaglini
(del 06/11/2007)
Accade in India: cristiani e musulmani felicemente alleati
Cattolici da record – di Giorgio Vittadini
Hanno ucciso la Famiglia di Stefano Zecchi – ilGiornale
Ru486 -L'aborto torna legalmente clandestino
giovedì 8 novembre 2007
Rassegna stampa a cura di Giorgio Razeto
ora: 14:14
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