martedì 30 ottobre 2007

Rassegna stampa a cura di Giorgio Razeto

DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA PER NON COLLABORARE A SCELTE IMMORALI
Diritto all'obiezione di coscienza anche per i farmacisti, affinché sia loro consentito di non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di medicinali che hanno finalità immorali, quali l'aborto e l'eutanasia. Lo ha ribadito Benedetto XVI lunedì mattina 29 ottobre, rivolgendosi ai partecipanti al XXV congresso internazionale dei Farmacisti cattolici.
Pronta la risposta di Federfarma cha ha commentato attraverso il suo segretario nazionale Franco Caprino: «Non possiamo fare gli obiettori di coscienza senza una modifica della legge». «I farmacisti sono costretti, dietro prescrizione medica, a consegnare il farmaco o a procurarlo, se non disponibile, nel più breve tempo possibile. Se non si modifica l'articolo 38 del testo unico delle leggi sanitarie non si può fare altrimenti».
Ancora una volta il Santo Padre dimostra grande coraggio nell’annunciare la verità, intervenendo in difesa della vita senza paura di scontrarsi con la grande centrale di potere dell'industria farmaceutica...



Leggi il testo integrale del Discorso

Signor presidente,
cari amici,
sono lieto di accogliervi, membri del congresso internazionale dei farmacisti cattolici, in occasione del vostro venticinquesimo congresso, che ha per tema: "Le nuove frontiere dell'atto farmaceutico". Lo sviluppo attuale dell'arsenale di medicine e delle possibilità terapeutiche che ne derivano comporta che i farmacisti riflettano sulle funzioni sempre più ampie che sono chiamati a svolgere, in particolare quali intermediari fra il medico e il paziente. Essi hanno un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell'assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell'utilizzazione di alcuni farmaci. In questo ambito, non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole che hanno come fine quello di evitare l'annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona.
Il farmacista deve invitare ognuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il loro ruolo terapeutico.
D'altro canto, nessuna persona può essere utilizzata, in modo sconsiderato, come un oggetto, per compiere esperimenti terapeutici; questi si devono svolgere secondo i protocolli rispettando le norme etiche fondamentali. Qualsiasi cura o sperimentazione deve avere come prospettiva un eventuale miglioramento della persona, e non solo la ricerca di avanzamenti scientifici. Il perseguimento di un bene per l'umanità non può avvenire a detrimento del bene dei pazienti. Nell'ambito morale, la vostra federazione è invitata ad affrontare la questione dell'obiezione di coscienza, che è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione, permettendovi di non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi come fine scelte chiaramente immorali, come ad esempio l'aborto e l'eutanasia.
È inoltre opportuno che le diverse strutture farmaceutiche, dai laboratori ai centri ospedalieri, e anche tutti i nostri contemporanei, si preoccupino della solidarietà nell'ambito terapeutico, per permettere l'accesso alle cure e ai farmaci di prima necessità a tutte le fasce della popolazione e in tutti i paesi, in particolare alle persone più povere.
In quanto farmacisti cattolici, che possiate, sotto la guida dello Spirito Santo, attingere dalla vita di fede e dall'insegnamento della Chiesa gli elementi che vi guideranno nel vostro cammino professionale accanto ai malati, che hanno bisogno di un sostegno umano e morale per vivere nella speranza e per trovare le risorse interiori che li aiuteranno giorno dopo giorno! Spetta a voi aiutare i giovani che s'inseriscono nelle diverse professioni farmaceutiche a riflettere sulle implicazioni etiche sempre più delicate delle loro attività e delle loro decisioni. A tal fine è importante che tutti i professionisti cattolici dell'ambito della salute e le persone di buona volontà si mobilitino e si riuniscano per approfondire la loro formazione non solo sul piano tecnico, ma anche in ciò che concerne le questioni di bioetica, e per proporre tale formazione a tutti coloro che svolgono questa professione. L'essere umano, poiché è immagine di Dio, deve essere sempre al centro delle ricerche e delle scelte in materia biomedica. Allo stesso tempo, il principio naturale del dovere di prestare cure al malato è fondamentale. Le scienze biomediche sono al servizio dell'uomo; se così non avverrà, avranno un carattere freddo e inumano. Ogni conoscenza scientifica nell'ambito della salute e ogni azione terapeutica sono al servizio dell'uomo malato, considerato nel suo essere integrale, che deve partecipare attivamente alle cure somministrategli ed essere rispettato nella sua autonomia.
Affidando voi, come anche i malati che dovete curare, all'intercessione di Nostra Signora e di sant'Alberto Magno, imparto a voi e a tutti i membri della vostra federazione e alle vostre famiglie, la benedizione apostolica.

L'Osservatore Romano - 29-30 Ottobre 2007


La dignità del farmacista è nel soccorrere la vita
GIUSEPPE ANZANI
Avvenire, 30.10.2007
Il discorso che il Papa ha rivolto ai farmacisti cattolici in occasione del loro 25° congresso internazionale contiene un passo destinato prevedibilmente a far discutere, quando accenna all’obiezione di coscienza come a «un diritto che dev’essere riconosciuto alla vostra professione» allorché si tratta di dispensare prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, ad esempio l’aborto e l’eutanasia. Discutere è prima di tutto riflettere. Il magistero del pontefice della Chiesa cattolica ha come intonazione profonda il vangelo, e la fedeltà al vangelo vuole coerenza alla verità, costi che costi, e obbedienza «Deo magis quam hominibus»; chi non ha, o non comprende, questa essenziale chiave di lettura, non ne intenderà il senso e il valore. È il livello in cui il rispetto della vita umana e la connaturata sapienza del “non uccidere” trovano presidio ultimo nel territorio del sacro, e sul piano relazionale della vita nel “comandamento nuovo” dell’amore. La seconda chiave investe la sfera etica, quando il Papa rammenta che non si deve collaborare a dare la morte. Nel campo dei rapporti sociali, al bivio delle scelte cruciali fra una condotta che altri pretendono e che la coscienza rifiuta come ingiusta, il primato della legge morale traccia la via esigente del dovere, fino al sacrificio. Antigone non è emblema di trasgressione, e neppure di mera libertà, ma di “obbedienza” più radicale alla norma etica che non può essere infranta. La terza chiave riguarda la sfera giuridica. A volte il diritto positivo si contenta di un basso livello etico, passando sopra a ingiustizie “mute”, che “non turbano l’ordine sociale” (perché le vittime non hanno voce). Ma nel disegnare il territorio lasciato alle libertà individuali prevaricanti, il diritto non può inversamente prevaricare la libertà delle coscienze che rifiutano il concorso nell’ingiustizia avvertita. È questo un concetto non solo tradotto in episodiche leggi, ma presidiato dalla Costituzione, come rammenta la Consulta fin dalla sentenza n.467 del 1991 («La protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo ai sensi dell’art. 2 della Costituzione»). Di più: se i farmacisti sono “operatori sanitari” e non ridotti a commessi di bottega o magazzinieri di supermercato, è già scritta anche per loro l’obiezione di coscienza nell’art. 9 della legge 194, quando venga loro richiesto di dispensare farmaci che hanno per scopo ed effetto di intercettare e distruggere la vita embrionale.
Nel senso del legittimo rifiuto si è espresso del resto anche il Comitato nazionale di bioetica nel maggio 2004. Non dunque novità, sul piano giuridico, ma puntualizzazione di una condotta che recupera, insieme con la libertà giuridica e l’obbedienza al dovere morale, il senso della dignità di una professione di soccorso all’uomo. Proprio là dove l’antica parola di “farmaco” sconta l’ambiguità semantica fra cura e veleno, il farmacista coscienzioso si schiera per la cura, per il diritto alla vita, mai per la morte. E si fa così lettore coerente dei fini ultimi dello Stato di diritto, per il quale il valore della vita umana resta, pur nella sventura delle contrarie prassi tollerate, il sommo interesse comune.









«Aborto chimico, in Emilia Romagna aggirata la 194» DA BOLOGNA STEFANO ANDRINI
Avvenire, 30.10.2007
Nel 2006 gli aborti in Emilia Romagna sono stati 11.458 (con un aumento dello 0,7% sul 2005). È quanto emerge dall’annuale Relazione sulle interruzioni di gravidanza consegnata nei giorni scorsi ai consiglieri regionali dall’assessorato alle Politiche per la salute.
Se nella maggioranza dei casi continua a prevalere il metodo Karman, si cominciano a vedere i primi riscontri sull’utilizzo della Ru486, la pillola abortiva chimica: l’hanno usata 464 donne, il 4% del totale degli aborti. In un commento affidato al settimanale diocesano Bologna Sette,
inserto domenicale di Avvenire, Paolo Cavana, responsabile dell’Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza episcopale regionale, ricorda che «tale farmaco non è ancora in commercio in Italia: solo a novembre il ministero dovrebbe pronunciarsi in materia ma alcune regioni già lo acquistano dal produttore francese. Sulle complicanze di tale sostanza la relazione è elusiva.
Significativo anche il dato sul target delle donne trattate con il farmaco: prevalentemente italiane, occupate, con titolo di studio superiore. Quasi a suggerire l’idea di una metodica più avanzata in grado di ampliare il ricorso all’aborto favorendone l’accesso».
Questi dati, secondo Cavana, confermano il timore che l’adozione generalizzata della Ru486 condurrebbe a una sostanziale privatizzazione dell’aborto e alla sua trasformazione in strumento contraccettivo. A proposito della pillola del giorno dopo, da segnalare la risposta data nelle scorse settimane dall’assessore Giovanni Bissoni al consigliere regionale Gianni Varani nella quale riconosce la possibilità per i farmacisti di fare obiezione di coscienza. I dati dell’Emilia Romagna hanno fatto registrare ieri anche numerose reazioni politiche. La senatrice della Margherita Paola Binetti denuncia il mancato rispetto della legge 194 e avverte: «Con la Ru486 si torna a privatizzare l’aborto». Luisa Santolini (Udc), vice presidente della commissione Affari sociali della Camera, parla di dati poco attendibili e si appella al ministro Turco «affinché non ignori un fatto estramamente grave come questo; risulta evidente come Regioni e ospedali si muovano in contrasto sia con la Finanziaria sia con la 194». Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera, rileva che «trasformare l’aborto in contraccettivo stravolge il senso della 194».
«Oltre a essere pericolosa per la salute della donna – dice Isabella Bertolini, deputato di Forza Italia – la Ru486 contiene in sé un potere di illimitata autodeterminazione che rischia di fare enormi danni».


Curabilità e guaribilità: il caso Eluana continua a far discutere

ROMA, domenica, 28 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l'intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.

* * *


Pochi giorni fa la corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo circa la richiesta di sospensione della Nutrizione e Idratazione Artificiale (NIA) presentata dal padre di Eluana Englaro, la ragazza in stato vegetativo dopo un incidente stradale verificatosi nel 1992. Il nuovo processo si dovrà tenere presso una diversa sezione della corte di Appello di Milano (1).

In una nota il Primo Presidente della Corte, Vincenzo Carbone, riporta che:

La Corte di Cassazione ha escluso che l'idratazione e l'alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscano, in sé, oggettivamente, una forma di accanimento terapeutico, pur essendo indubbiamente un trattamento sanitario può, su istanza del tutore, autorizzarne l'interruzione soltanto, dovendo altrimenti prevalere il diritto alla vita, in presenza di due circostanze concorrenti:

1) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione;

2) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.


Cerchiamo di affrontare le due condizioni in modo separato attingendo alle conoscenze espresse dalla letteratura medico-scientifica.

Il gruppo di lavoro che ha riunito esperti di diverse specialità mediche ha prodotto un documento pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 1994 dedicato allo Stato Vegetativo (SV) (2).

In esso gli esperti pongono una prima distinzione terminologica:

“persistente” è un termine che esprime una diagnosi, “permanente” si riferisce invece alla prognosi. Ogni medico conosce la fallibilità intrinseca del giudizio prognostico, eppure il gruppo in questione afferma: “Noi crediamo che ci siano sufficienti dati sulla prognosi del recupero neurologico da permetterci di distinguere tra stati vegetativi persistenti e permanenti” , così che “un medico può dire ai familiari del paziente con un alto grado di certezza medica che non c’è più speranza per il recupero della coscienza”.

Sempre secondo il gruppo di esperti, “errori nella diagnosi sono accaduti a causa della confusione sulla terminologia per descrivere i pazienti in queste condizioni, l’inesperienza dell’esaminatore, o un’insufficiente periodo di osservazione”.

Insomma, si potrebbe stare tranquilli ed applicare anche al caso di Eluana Englaro ”con un alto grado di certezza” il giudizio d’irreversibilità della sua condizione. Quanto questo criterio probabilistico soddisfi la richiesta della Suprema Corte circa l’assenza di una pur minima possibilità di recupero per poter autorizzare la sospensione della NIA è materia per adesso non ponderabile. Da quando però il documento è stato stilato sappiamo che, nonostante la migliore assistenza, errori diagnostici e soprattutto prognostici nel campo dello stato vegetativo continuano ad avvenire. Ad esempio, in una casistica di 40 pazienti ricoverati con diagnosi di Stato Vegetativo Persistente (SVP) in una unità specializzata per il recupero di soggetti con grave danno neurologico ad almeno 6 mesi di distanza dall’evento acuto, 10 pazienti sono rimasti vegetativi (25%), 13 sono usciti dallo stato vegetativo (33%), per altri 17 si è trattato di un errore diagnostico (43%) durato fino a 7 anni (3).

Il dottor Guizzetti, responsabile del centro per la terapia dello stato vegetativo di Bergamo, ha fornito una casistica personale in cui, tra 69 soggetti in stato vegetativo, 12 hanno ripreso stabilmente le relazioni con l’ambiente, 6 hanno ripreso l’eloquio, 8 hanno ripreso l’alimentazione orale, 11 non hanno più avuto bisogno della tracheocannula (4). Nel 2007, dopo una prima iniziale segnalazione (5), si è cominciato a studiare tecniche di neuroimaging funzionale per verificare la persistenza di isole di coscienza non rilevabile clinicamente, né con i mezzi ordinari. Tali studi, seppure preliminari, offrono conferma che “alcuni pazienti che soddisfano i criteri comportamentali per stato vegetativo mantengono isole preservate di funzione cognitiva” (6; 7; 8).

La cosa, a colui che abbia qualche conoscenza di cardiologia, non può non ricordare la scoperta di alcuni anni fa del miocardio “stordito” ed “ibernato”, punto di partenza per la oggi routinaria prassi clinica volta al recupero della funzione contrattile dopo un infarto. La scoperta di “isole di coscienza” in alcuni pazienti in stato vegetativo apre la grande sfida dell’implementazione di esse. Decretare la soppressione di una persona ancora vivente è in netto contrasto con quel principio di speranza continuamente evocato per giustificare la ricerca sulle cellule staminali ottenute con distruzione di embrioni, peraltro fino ad ora inconcludente, almeno sotto il profilo delle applicazioni cliniche. È davvero paradossale che alcuni soggetti, una volta cadaveri, siano trattati come pazienti, ibernandoli in attesa di future terapie, mentre veri pazienti li si voglia trattare come già cadaveri. Smentite alla pretesa d’infallibilità prognostica nel giudizio sullo Stato Vegetativo giungono anche dall’Italia in uno case report dal titolo significativo: “Un inatteso recupero dallo Stato vegetativo permanente” (9).

Al di là quindi della impossibilità di stabilire nel singolo soggetto la condizione d’irreversibilità la sentenza della corte costituzionale stabilisce comunque un principio: si può uccidere se non vi sono probabilità di recupero della coscienza. È intuibile che il prossimo fronte per erodere la vita si giocherà su due campi: il grado di certezza prognostica richiesto per procedere alla sospensione della NIA che, c’è da temere, piano piano, sentenza dopo sentenza, da assoluto, diventerà altamente probabile e poi ragionevolmente probabile, e quello del grado di compromissione della coscienza di sé e del mondo circostante. Ci s’interroga su quanto la cosa farà piacere ai pazienti affetti da Demenza avanzata.

Il secondo criterio per definire la praticabilità della soppressione mediante inedia del paziente in stato vegetativo si fonda sulla presenza di desideri espressi in vita. Di nuovo una lettura della realtà che sembra completamente sorda alle conoscenze che giungono dalla ricerca medico-scientifica. Vi sono evidenze infatti che quei trattamenti che i pazienti in un primo momento dichiarano di rifiutare, col progredire della patologia divengono maggiormente accettati (10). Quanto sia frequente cambiare idea sulle decisioni di fine vita è uscito dal ristretto ambito di conoscenza degli addetti ai lavori grazie alla testimonianza della dottoressa Sylvie Menard, capo del dipartimento di oncologia all'Istituto nazionale dei tumori di Milano, che ha cambiato radicalmente opinione su testamento biologico ed eutanasia dopo l’insorgenza della malattia: “Da medico, da oncologa, ero favorevole: oggi rivendico il mio diritto a vivere. […] Il testamento biologico non si può fare da sani, perché in questo caso la morte è qualcosa di astratto; quando ti ammali la prospettiva cambia e oggi io troverei uno scopo anche costretta a letto” (11).

Affermare che la propria vita possa essere interrotta sulla base di una dichiarazione orale resa in un contesto completamente diverso significa oggettivamente tutelare giuridicamente la vita umana in minor misura di quanto si faccia per i beni materiali; si tratta di un’osservazione svolta sia da medici (12) che da giuristi (13).

Una nota a margine. Nel caso di un via libera stabilito dalle corti alla sospensione della NIA si proporrebbe anche in Italia un caso Terry Schiavo, la giovane donna deceduta dopo 13 giorni di straziante agonia dopo la decisione di rimuovere l’alimentazione artificiale. Un’agonia che renderebbe più umano, e quindi più prossimo ad essere legalizzato, l’intervento eutanasico mediante iniezione letale. A fronte delle notizie di medici dichiaratisi pronti ad eseguire la rimozione del supporto vitale alla giovane ragazza italiana, sarebbe interessante apprendere il loro personale concetto di cura; quali semplici medici di campagna credevamo che curare significasse migliorare la speranza di vita e/o lenire le sofferenze. Difficile pensare che una paziente incosciente, come loro dicono, ricevendo l’assistenza ordinaria e il supporto nutrizionale soffra, almeno fino a quando la rimozione del sondino per l’alimentazione, prima della morte, attivi una sofferenza legata a una serie di sintomi che li costringerà comunque ad intervenire in uno sforzo teso a limitarli e contenerli.

Vorrei non fosse mai dimenticato che l’orizzonte dell’uomo si situa interamente in un arco di curabilità, non di guaribilità.


(1) http://www.corriere.it/cronache/07_ottobre_16/cassazione_eutanasia.shtml
(2) The Multi-Society Task Force on PVS. NEJM Volume 330:1499-1508 May 26, 1994 Number 21
(3) Andrews K et al. BMJ 1996;313:13-16 (6 July)
(4) Fonte: Avvenire, 20 ottobre 2003
(5) Owen Am et al. Science. 2006 Sep 8;313(5792):1402.
(6) Rodd MR et al. Brain. 2007 Oct;130(Pt 10):2494-507.
(7) Yu SM et al. Neurology. 2007 Mar 20;68(12):895-9.
(8) Owen AM et al. Arch Neurol. 2007 Aug;64(8):1098-102.
(9) Sarà M et al. Brain Inj. 2007 Jan;21(1):101-3.
(10) Fried TR et al. Arch Intern Med. 2006 April 24; 166(8): 890–895.
(11)http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=213632.
(12) Luca Puccetti. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3562.
(13) Francesco D’Agostino.



Eutanasia: la vera risposta è dare un senso alla fine della vita
Conferenza organizzata dal Rinnovamento nello Spirito
ROMA, martedì, 30 ottobre 2007 (ZENIT.org).- La fine della vita, la vecchiaia, la morte, la malattia, la sofferenza: temi eticamente sensibili sui cui scienza, politica e religione sono chiamate a dare risposte inequivoche. Questo il senso della conferenza “La questione di fine vita” organizzata, il 26 ottobre scorso, dal Rinnovamento nello Spirito presso la Casa del Pellegrino del Santuario del Divino Amore.

Nel corso dell’incontro sono intervenuti i senatori Paola Binetti e Rocco Buttiglione, seguiti dal presidente nazionale di Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez. A moderare il dibattito, Luca Marconi, militante di Rinnovamento nello Spirito e anch’egli senatore della Repubblica.

“Papa Benedetto XVI afferma che temi come la sacralità della vita nascente e morente non sono valori negoziabili – ha esordito il senatore Marconi –. Questa considerazione del Santo Padre è drammatica, in quanto ribadisce un principio che dovrebbe essere scontato. Invece sussistono concrete difficoltà ad accettarlo, trovandoci in una società che esalta il nulla”.

“Ci avviciniamo al quarantesimo anniversario del ’68, un anno in cui, si sognava la fantasia al potere – ha aggiunto Marconi –. Beh, ritengo che oggi molti sono succubi del potere della fantasia, ovvero che certi legislatori non avvertono nessun senso del limite quando si tratta di regolamentare questioni come l’eutanasia o il testamento biologico”.

Il primo punto di vista è stato quello espresso dalla senatrice Binetti, medico e neuropsichiatra infantile. “L’Italia è il paese in cui si vive più a lungo – ha affermato – tuttavia, nonostante molte patologie siano state sconfitte e non appaia più stupefacente vivere fino a centodieci anni, il fatto di dover morire, rimane una delle nostre certezze inamovibili”.

“Come medico – ha proseguito la senatrice – ritengo che la scienza abbia il dovere di alleviare le sofferenze dei malati, tanto più se terminali. Ritengo altresì che la risposta più importante che si debba dare è quella di fornire ai pazienti e ai loro parenti un senso a ciò che sta accadendo”.

“In questo contesto papa Giovanni Paolo II, nei suoi ultimi anni di vita è stato un grandissimo esempio per l’umanità intera – ha detto ancora la Binetti –. Ma penso anche al caso del dottor Mario Melazzini che, pur malato di sclerosi laterale amiotrofica non vuole l’eutanasia e continua addirittura a lavorare”.

“Per quale motivo dovremmo rifiutare la vita se non ne comprendiamo il senso? La politica ha quindi il dovere di sostenere la ricerca scientifica per rendere più dignitosa la vita dei malati gravi – ha aggiunto –. Penso ai malati di AIDS, molti dei quali, oggi, possono svolgere normalmente un’attività professionale”.

“Non possiamo pretendere di essere i padroni assoluti della nostra vita e del nostro destino, né che la sofferenza sia eliminata del tutto: ricordo che l’eutanasia è del tutto assente nel giuramento di Ippocrate. In definitiva non possiamo pensare di vincere la battaglia contro la morte se prima non vinciamo la battaglia per il senso della nostra vita”, ha poi concluso.

La riflessione etico-politica è stata completata dall’intervento del senatore e filosofo Rocco Buttiglione. “Fu San Tommaso d’Aquino a ricordarci l’identità tra il bene e l’essere – ha detto Buttiglione –. La vita, di per sé, è una cosa meravigliosa ma oggi questo assunto è messo in discussione”.

“Ci si domanda se la vita valga sempre la pena di essere vissuta – ha proseguito il parlamentare –. Molti down conducono una vita pressoché normale e riescono a lavorare. Eppure molte madri preferiscono abortire se il nascituro è affetto da questa sindrome”.

“Ho in mente anche l’esempio di un filosofo polacco allievo di Giovanni Paolo II: era focomelico ma è stato un grande intellettuale, è vissuto fino a 51 anni e ha anche avuto dei figli”, ha raccontato.

“Chi lo ha detto poi che una vita breve non possa essere felice?”, si è domandato Buttiglione.
“L’importante – ha spiegato – è avere sempre amore intorno a sé: una persona la si ama in quanto essere umano”.

“Molte donne abortiscono perché abbandonate dal padre del nascituro. L’aborto va sempre prevenuto, in primo luogo offrendo conforto alla donna che è tentata di abortire: e la politica deve incoraggiare questa linea”, ha aggiunto.

Entrando nello specifico della fine della vita, Buttiglione ha affermato: “Il dramma degli anziani non è la sofferenza fisica ma la solitudine. Sia le famiglie che il sistema sanitario devono essere preparati ad assistere ed accompagnare i loro anziani e malati. Non basta dire di no all’eutanasia: bisogna anche mettere fine alla paura che c’è intorno alla morte, specie quando la morte è tra molte sofferenze”.

A conclusione dell’incontro il presidente di Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez, ha sottolineato che “il senso più alto della vita è evangelizzare e trasmettere alle nuove generazioni un senso di vita e di speranza. Il crocifisso è quindi l’espressione più alta del vivere”.

“Una madre che insegna ai propri figli la cultura della contraccezione – ha proseguito – li educa alla cultura della morte. E chi vuole la morte deve avere un bel coraggio a darne buone ragioni! La vita, invece, è un dono, non un prodotto, è un evento, non un esperimento”.

“Lo spirito della Pentecoste – ha aggiunto Martinez con riferimento al carisma del proprio movimento – ci invita a vivere non per sé ma per gli altri, a dare spazio all’amore, combattendo quella solitudine che è il campo di battaglia per satana”.

“Soltanto con questo spirito si può dare un senso a quell’agire umano ‘prepolitico’ che da tempo è in crisi anche in conseguenza dell’errore storico-culturale di relegare il sacro alla sfera privata. Nessun ordinamento politico potrà costringerci a sbarazzarci dell’amore di Dio!”, ha poi concluso.







Benedetto XVI
«C’è anche il martirio della vita ordinaria»
Avvenire, 30.10.2007
Pubblichiamo il discorso pronunciato domenica scorsa dal Papa in Piazza San Pietro prima della recita della pre­ghiera mariana dell’Angelus.
Cari fratelli e sorelle!
Questa mattina, qui in Piazza San Pietro, sono sta­ti proclamati beati 498 martiri uccisi in Spagna ne­gli anni Trenta del secolo scorso. Ringrazio il cardinale Jo­sé Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, che ha presieduto la celebrazione e ri­volgo il mio saluto cordiale ai pellegrini convenuti per questa lieta circostanza. La contemporanea iscrizione nell’albo dei beati di un così gran numero di martiri di­mostra che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni individui, ma un’eventualità realistica per l’intero popolo cristiano. Si tratta, infatti, di uomini e donne diversi per età, vocazio­ne e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Ad essi ben si addi­cono le espressioni di san Paolo, che risuonano nella li­turgia di questa domenica: «Il mio sangue – scrive l’apostolo a Timoteo – sta per essere sparso in libagione ed è giunto il mo­mento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho con­servato la fede» (2 Tm 4,6- 7). Pao­lo, detenuto a Roma, vede ap­prossimarsi la morte e traccia un bilancio pieno di riconoscenza e di speranza. È in pace con Dio e con se stesso ed affronta serenamente la morte, con la consapevolezza di avere speso tutta la vita senza rispar­mio al servizio del Vangelo.
I l mese di ottobre, dedicato in modo particolare al­l’impegno missionario, si chiude così con la lumino­sa testimonianza dei martiri spagnoli, che vanno ad aggiungersi ai martiri Albertina Berkenbrock, Emmanuel Gómez Gonzáles e Adilio Daronch e Franz Jägerstätter, proclamati beati nei giorni scorsi in Brasile e in Austria. Il loro esempio sta a testimoniare che il Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Re­gno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio del­la stessa vita. Non tutti, certo, sono chiamati al martirio cruento. C’è però un «martirio» incruento, che non è me­no significativo, come quello di Celina Chludzinska Borz cka, sposa, madre di famiglia, vedova e religiosa, beatificata ieri a Roma: è la testimonianza silenziosa ed eroica di tanti cristiani che vivono il Vangelo senza com­promessi, compiendo il loro dovere e dedicandosi gene­rosamente al servizio dei poveri.
Q uesto martirio della vita ordinaria è una testimo­nianza quanto mai importante nelle società se­colarizzate del nostro tempo. È la pacifica batta­glia dell’amore che ogni cristiano, come Paolo, de­ve instancabilmente combattere; la corsa per diffondere il Vangelo che ci impegna sino alla morte. Ci aiuti e ci as­sista, nella nostra quotidiana testimonianza, la Vergine Maria, Regina dei Martiri e stella dell’evangelizzazione.
Benedetto XVI


Lo “Stato-predone”, altra via al socialismo egualitario
Lo strumento fiscale è sempre stato considerato dal socialismo come un mezzo di redistribuzione delle ricchezze, per realizzare una società ugualitaria, in cui la proprietà privata del cittadino venga ad essere, se non soppressa, almeno limitata. Ecco perché una delle principali cause delle difficoltà economiche in cui versano oggi le famiglie nel nostro Paese governato dal centro-sinistra, è senza dubbio l’insostenibile pressione fiscale…
di Roberto de Mattei


Una delle principali cause delle difficoltà economiche in cui versano oggi le famiglie italiane è senza dubbio l’insostenibile pressione fiscale. Tra imposte dirette e indirette, più del 50% delle entrate dei cittadini viene forzosamente prelevato dallo Stato. Il fenomeno non è solo italiano, ma mentre in alcuni Paesi europei vi sono state, negli ultimi anni, significative inversioni di tendenza, nel nostro Paese il governo di centro-sinistra ha ulteriormente aggravato la situazione.
Sarebbe ingenuo addebitare questo fenomeno ad incompetenza o semplice cattiva gestione da parte del governo, senza comprenderne la dimensione ideologica. Lo strumento fiscale è sempre stato considerato dal socialismo come un mezzo di redistribuzione delle ricchezze, per realizzare una società ugualitaria, in cui la proprietà privata del cittadino venga ad essere, se non soppressa, almeno limitata.
Il sogno utopico della Sinistra, dai tempi della Rivoluzione Francese, è infatti quello di una società in cui non vi sia alcuna disuguaglianza tra gli uomini, a cominciare dall’aspetto materiale, quello dei beni di cui essi dispongono. Fin dai tempi della “Congiura degli Uguali” (1796-1797) di Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti, i rivoluzionari si propongono di rovesciare la naturale disuguaglianza sociale fra gli uomini per realizzare una società priva delle tradizionali istituzioni che, per natura, la caratterizzano: la famiglia, lo Stato, la proprietà privata.
Il metodo dell’esproprio e della gestione statalista dell’economia, che ha caratterizzato i regimi comunisti fino alla caduta del Muro di Berlino, è però miseramente fallito. Rimane la via graduale e “indolore”, già teorizzata da Federico Engels.
Come tappe di questo esproprio graduale, Engels indica la limitazione della proprietà privata per mezzo di imposte progressive e di imposte sull’eredità, la graduale espropriazione della proprietà fondiaria, delle fabbriche, delle ferrovie, delle imprese navali; la concentrazione dei mezzi di trasporto; l’accentramento del credito nelle mani dello Stato, la soppressione di tutte le banche private, e così via.
Lo Stato socialista non nasce, insomma, per “assistere” l’individuo, ma per espropriarlo con vari mezzi, tra cui il sistema delle imposte. Chi protesta viene demonizzato come “evasore fiscale” e agli evasori fiscali, grandi o piccoli che essi siano, viene attribuita la responsabilità della crisi economica del Paese.
Nella lotta contro gli “evasori fiscali”, che ricorda le accuse contro i “sospetti” della Rivoluzione Francese, si fa addirittura appello ai principi cristiani, dimenticando che ben diversa è la dottrina sociale della Chiesa, esposta, nel corso del Novecento, in importanti documenti, dalla «Quadragesimo anno» di Pio XI alla «Centesimus annus» di Giovanni Paolo II.
La Chiesa insegna che la società è naturalmente disuguale e che la proprietà costituisce, assieme alla famiglia, uno dei cardini dell’ordine sociale. Pio XI afferma nella «Quadragesimo anno» (1931) che «bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei beni, diritto che lo Stato non può sopprimere perché l’uomo è anteriore allo Stato e perché la società domestica è logicamente anteriore alla società civile». L’equità e la giustizia non possono essere arbitrariamente imposte dall’intervento livellatore dello Stato. L’equa distribuzione delle ricchezze, deve avvenire assicurando a tutti i cittadini una giusta remunerazione, e non imponendo ad essi un ingiusto prelievo fiscale.
«Non esiste dubbio – insegna Pio XII – sul dovere di ogni cittadino di sopportare una parte delle spese pubbliche, ma lo Stato, da parte sua, in quanto incaricato di proteggere e di promuovere il bene comune dei cittadini, ha l’obbligo di ripartire fra essi soltanto carichi necessari e proporzionati alle loro risorse» (discorso del 2 ottobre 1956).
[...] Vittorio Messori ha commentato [...]: «[...] È, nella teoria, con i dottrinari illuministi e poi, nella pratica, con giacobini e girondini rivoluzionari, che lo Stato si fa “etico”, si fa “sociale”, si fa “totalitario”, assume per sé tutti i diritti e tutti i poteri, affermando che farà fronte a tutti i doveri e a tutte le necessità.
Nascono e si sviluppano sino all’ipertrofia le burocrazie, si creano smisurati eserciti permanenti, si confiscano i beni con cui la Chiesa e i corpi sociali intermedi facevano fronte alle esigenze sociali, basandosi non sul torchio dell’esattore ma sulla volontarietà dell’elemosina. Cesare, insomma, pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e a balzelli diretti e indiretti e – bontà sua – lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro.
Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la “giustizia” chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti – quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle “decime” – giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone» (Corriere della Sera, 20.8.2007).
Di fronte a questo Stato “padrone-predone”, bisogna ribadire che ogni legge che violi il diritto naturale è ingiusta e va respinta attraverso ogni legittima forma di protesta.
Che pensare, ad esempio, della legge Visco-Bersani che consente al fisco di accedere, on-line, a tutti i conti bancari delle persone fisiche e giuridiche e di procedere automaticamente all’esproprio diretto e immediato dal conto corrente di ciò che lo Stato rivendica?
Come giudicare il rifiuto del governo di applicare in Italia il metodo del “quoziente familiare”, sperimentato con successo in Francia, che consentirebbe di calcolare il reddito imponibile del capofamiglia non solo in forza del reddito percepito, ma anche in virtù del numero dei componenti della famiglia a carico?
Il governo Prodi inoltre, nella finanziaria 2007, ha reintrodotto quella iniqua tassa di successione che il governo Berlusconi aveva abolito nel 2001, e si propone, con questa tassa, di contribuire a distruggere la legittima proprietà familiare, acquistata con lo sforzo delle generazioni. Famiglia e proprietà restano i due principali avversari del socialismo, vecchio e nuovo. È importante comprendere il nesso tra questi due istituti di diritto naturale, che appartengono ai valori “non negoziabili” che meritano di essere fermamente difesi contro la dittatura del relativismo che oggi ci minaccia.

Radici Cristiane, n. 28, ottobre 2007



IL CASO. Il film dedicato alla Regina Vergine falsa la verità storica e ricicla tutti i cliché anglosassoni contro l’«oscurantismo papista»

«Elizabeth» anticattolico


DI FRANCO CARDINI
Avvenire, 30.10.2007
S i è detto e ridetto: non c’è dubbio che al giorno d’oggi esistono differenti e opposti fondamentalismi, quello musulmano, quello cristiano, quello ebraico; e che la loro lotta rischia di trascinarci in un vortice molto pericoloso. Non sono però solo questi, i fondamentalisti: ci sono anche quelli degli agnostici, degli anticlericali, degli atei; ma, stranamente, molto spesso essi si alleano con certi cristiani radicali per marciare divisi ma colpire uniti un solo obiettivo.
Teisti, laicisti, atei e fanatici cristiano-apocalittici uniti nella lotta alla faccia delle differenze abissali che li dividono. Il nemico è solo uno: sempre quello, anche se talvolta implicitamente indicato. Il cattolicesimo e, soprattutto, la Santa Sede. Il papismo. L’offensiva è serrata e pesante. Siamo già stati costretti a occuparci del romanziere Ken Follett, che dall’alto della sua indubbia posizione di scrittore di successo ribadisce il suo credo ateo-progressista certo, ma anche allevato nel clima protestane: la Chiesa cattolica sarebbe stata da sempre nemica della scienza, del progresso e della verità. A Perugia, una delle roccaforti della cultura massonica, si circonda d’ogni onore il monumento nel quale l’Aquila del Progresso e della Libertà schiaccia sotto gli artigli il Triregno della Tirannia e dell’Ignoranza papiste. L’Archivio Segreto Vaticano pubblica un’irreprensibile raccolta di documenti relativi al processo ai Templari, e dall’Inghilterra fino all’Italia si eleva il coro di militanti protestanti e massoni che chiedono (a nome di chi?) le 'scuse della Chiesa' per lo scioglimento dell’Ordine del Tempio. È coerente con questo panorama d’intolleranza il film Elizabeth: the Golden Age del regista Shekhar Kapur, protagonista della recente festa di Roma e adesso sugli schermi.
Non entriamo nelle qualità propriamente artistiche del film, che non ci riguardano in questa sede. Ma un film che falsa così profondamente e perversamente la storia non può esser comunque ritenuto 'bello': non, almeno, nella misura in cui si ripromette di fornire in un modo o nell’altro un contributo alla comprensione d’un importante momento storico della nostra Europa e del nostro Occidente. Perché avrà ben un senso, in ultima analisi, che – mentre Filippo II s’impegnava a correre insieme con il papa in aiuto alla Repubblica di Venezia minacciata dai turchi che volevano toglierle l’isola di Cipro (e ci sarebbero riusciti, nonostante la vittoria cristiana di Lepanto del 1571) – la 'Regina Vergine' d’Inghilterra facesse di tutto per destabilizzare una Francia dove faticosamente i cattolici e gli ugonotti (calvinisti) si fronteggiavano, appoggiasse le gesta dei corsari che nell’Atlantico facevano la caccia ai convogli spagnoli, cancellasse le residue libertà della Chiesa anglicana – imponendole, con i 'Trentanove Articoli' del 1563, un assetto rigorosamente dipendente dalla corona e una teologia sostanzialmente calvinista, sterminasse i cattolici dalla Scozia all’Irlanda, facesse proditoriamente arrestare e assassinare (nel 1587) la cugina Mary Stuart (Maria Stuarda) dopo un processo illegale. Nella tradizione inglese, avallata da un celebre cocktail, Maria Tudor – sorellastra di Elisabetta – è detta 'la Sanguinaria', Bloody Mary. Ma stando al film di Kapur, la Regina Vergine era un’abile politica almeno quanto una coraggiosa sovrana capace di vestir l’armatura e al tempo stesso una donna innamorata e appassionata. Il suo avversario, Filippo II di Spagna, è naturalmente il cattolico feroce e fanatico messo in caricatura, che agita il suo rosario come un’arma, che vaga come un pazzo nel tetro Escorial minacciando con furente impotenza l’Eroina che lo sta tenendo in scacco, che sogna di soggiogar tutto il mondo alla fede cattolica e la cui sconfitta, quando la sua 'Envencible Armada' naufraga nel 1588 in una Manica sconvolta dalla tempesta, viene presentata come una luminosa vittoria del Libero Pensiero contro le tenebre dell’Inquisizione, della Libertà contro una tirannia ancora medievale eccetera eccetera.
Tutta questa è roba da basso anticlericalismo ottocentesco.
Ora, sorge spontanea la domanda: perché questa propaganda circola ancor oggi e anzi si rafforza, nel momento stesso in cui si sta cercando invece di rafforzare la cosiddetta 'identità occidentale' di fronte a vere o supposte minacce islamiche? Non sarà che in fondo il rifiuto di citare le 'radici cristiane' nel Prologo del peraltro fallito progetto di Costituzione europea e questo bizzarro ma un po’ repellente rigurgito di propaganda anticattolica partano entrambi dalla consapevolezza che senza il cattolicesimo lo stesso cristianesimo resta privo del suo autentico fulcro, e siano quindi due volti diversi ma convergenti d’uno stesso coerente e pervicace programma laicista e scristianizzatore?




PERCHÉ FARSI SCIPPARE LA FESTA DI TUTTI I SANTI E DEI MORTI?
HALLOWEEN: FESTA DELL’IGNORANZA
E DELLA SUPERSTIZIONE

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