mercoledì 31 ottobre 2007

Rassegna stampa a cura di Giorgio Razeto

L’OBIEZIONE DI COSCIENZA -ALTRO CHE BALCANIZZARE LA SANITÀ FRANCESCO D’AGOSTINO
Avvenire, 31.10.2007

Il discorso che Benedetto XVI ha rivol­to ai partecipanti al XXV Congresso in­ternazionale dei farmacisti cattolici, stigmatizzando la commercializzazione di farmaci abortivi ed eutanasici, è im­portante sotto diversi profili, su almeno due dei quali mi sembra opportuno ela­borare in questa sede alcune riflessioni. In primo luogo, il discorso del Papa è ri­levante sotto l’aspetto propriamente bioetico. Egli torna ad insistere sul dove­re di lottare contro la progressiva «ane­stetizzazione » delle coscienze che carat­terizza il nostro tempo e che induce così tante donne a pensare all’aborto non più come ad un’eventualità estrema, ecce­zionale e tragica, ma come ad una bana­le possibilità, gestibile attraverso altret­tanto banali sussidi farmacologici (o me­glio pseudo-farmacologici).
Ma c’è anche un altro punto da sottoli­neare e che per me possiede un rilievo ancora maggiore, per la sua forte carica di novità: il Papa delinea, in poche, ma perfette espressioni, l’essenza della deontologia del farmacista, che, se non vuole relegarsi al rango, indubbiamente onesto, ma riduttivo, del mero commer­ciante, deve percepire se stesso come in­termediario tra medico e paziente ed e­sercitare nei confronti di quest’ultimo u­na funzione di fondamentale informa­zione, che – data la delicatezza delle que­stioni sanitarie – diviene inevitabilmen­te una funzione 'educativa'. Non è una mera e neutrale informazione lo spiega­re a una donna che quella pillola che es­sa sta per comprare non si limita a ren­dere impossibile il concepimento, ma può produrre la morte di un figlio già concepito: quando è in questione né più né meno che la vita stessa ogni informa­zione o è 'educativa' oppure, se il valo­re della vita non viene adeguatamente ricordato e promosso, è per forza di co­se 'diseducativa'.
In secondo luogo, il discorso del Papa ha una forte e legittima valenza politica. Sap­piamo che già molti laicisti sono tornati a reiterare le loro logore proteste contro le 'invadenze' vaticane. Si tratta di pro­teste indebite, per una ragione formale e per una ragione sostanziale. Formal­mente, perché l’eutanasia in Italia è ille­gale e lo è anche l’aborto, se non viene praticato nel rispetto di una procedura difficilmente compatibile con la vendita in farmacia di pillole abortive (e qui pen­so non solo alla RU 486, ma anche alla 'pillola del giorno dopo', che può di fatto produrre effetti abortivi): quindi, auspicare l’obiezione di coscienza alla ven­dita di prodotti abortivi ed eutanasici è paradossalmente un ammonimento perché non si violino, surrettiziamente, i principi normativi vigenti.
Ma il cuore della questione, ovviamente, non è formale, ma sostanziale. Nella so­stanza, l’appello del Papa per il ricono­scimento del diritto all’obiezione di co­scienza per i farmacisti va molto al di là del caso, pur delicatissimo, che lo ha pro­vocato: è un appello perché non si perda la consapevolezza che quando sono in gioco temi etici fondamentali (e quelli della vita e della morte sono – se così si può dire – i più fondamentali di tutti), te­mi che suscitano gravissime questioni di coscienza, è dovere di tutti fermarsi e at­tivare una riflessione ampia ed articola­ta, per evitare che simili questioni ven­gano degradate a mere dispute di carat­tere ideologico o meno che mai confes­sionale. Fa impressione la superficialità con cui Repubblica del 30 ottobre (pag. 2) afferma che accogliere l’appello del Pa­pa (definito riduttivamente «una parola d’ordine») equivarrebbe ad una «balca­nizzazione » del nostro sistema sanitario, con una evidente allusione ai conflitti in­sensati, ciechi ed ottusi, pregiudiziali e violenti, che hanno insanguinato i Bal­cani. Tutto, tranne questo, si può dire a ca­rico di chi promuove la difesa della vita, affidandola all’obiezione di coscienza: dovrebbero ricordarselo soprattutto quei laicisti, che in altre occasioni hanno giu­stamente e laicamente lottato perché l’o­biezione ottenesse un doveroso ricono­scimento nel nostro ordinamento.



SULLA RU486 TROPPI FANNO I PESCI IN BARILE
C’è una pillola killer che non viene spiegata
EUGENIA ROCCELLA
Avvenire, 31.10.2007
Sono in maggioranza italiane, e più istruite delle media, le donne che scelgono la Ru486.
Lo sottolinea con soddisfazione l’assessorato alla Sanità dell’Emilia Romagna, presentando la relazione annuale sull’aborto. Come a dire: chi sceglie la pillola abortiva non è una poveretta qualsiasi, magari straniera, magari munita di una semplice licenza elementare, ma una persona informata, che vuole per sé il meglio che c’è sul mercato.
Bisognerebbe però aggiungere che questa convinzione è frutto di una intensa e spregiudicata campagna propagandistica a favore dell’aborto chimico. Sul «Corriere» e su «Repubblica» nessuno ha mai raccontato di Holly Patterson, la diciottenne californiana uccisa dalla 'kill pill' (è da allora che negli Usa la pillola viene definita così), né della straordinaria e tenace battaglia condotta del padre, che ha permesso la scoperta di altre morti, e ha squarciato il velo di silenzio sull’orrore dell’aborto con la Ru486.
Nessuna trasmissione televisiva ha spiegato che l’aborto chimico è una procedura che richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine, tra nausee e crampi dolorosi (è, in sostanza, un piccolo parto), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere, nella maggioranza dei casi, l’embrione abortito.
Chi crede che la Ru486 sia un metodo sicuro e indolore dovrebbe leggere la stampa straniera: scoprirebbe così che il «New York Times» ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l’inglese «Times», solo 15 giorni fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull’aborto chimico», in cui ha definito la Ru486 «horror-pill».
Il motivo di tante censure e bugie, qui da noi, è chiarissimo: l’obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Se così fosse, dovremmo vedere schiere di assessori, governatori regionali, parlamentari che si battono strenuamente per il parto naturale e la difesa della maternità, con lo stesso accanimento e le stesse dichiarazioni infuocate spese per promuovere la pillola abortiva. Introdurre in Italia la Ru486 – l’abbiamo detto e ripetuto – serve in realtà a taluni come strumento per smontare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, seguendo il percorso che è già stato sperimentato con successo in Francia. Abolire le garanzie offerte dall’assistenza sanitaria pubblica, riportare l’aborto tra le mura domestiche, in una forma legale di clandestinità, lavarsene finalmente le mani, evitando qualunque intervento di prevenzione: è questo che davvero si vuole.
Una volta diffusa l’abitudine all’aborto fai-da-te si potrà modificare la legge, come hanno fatto i francesi, e come forse faranno gli inglesi. Del resto, perché il sistema sanitario pubblico dovrebbe occuparsi delle donne che abortiscono? Perché lo Stato dovrebbe impegnare risorse per aiutare le donne che il figlio vorrebbero tenerlo, ma hanno bisogno di un minimo di sostegno economico e morale?
La Exelgyn, che produce la Ru486, ha comunicato che a novembre chiederà la registrazione del prodotto in Italia.
Ci auguriamo che il compito dell’Aifa, l’ente di controllo dei farmaci, non si limiti a un burocratico passaggio di carte, ma a un vero esame della documentazione scientifica e dei dati offerti dall’azienda. Ma soprattutto ci auguriamo che il ministro della Salute Livia Turco voglia applicare integralmente, come ha sempre affermato, la 194 e le garanzie che essa pure contiene, evitando ulteriori distorsioni e peggioramenti. La Ru486 annichilisce infatti ogni forma di prevenzione. Dopo tante accuse ai cattolici, adesso si vedrà con chiarezza chi davvero attacca la 194, infischiandosene della salute delle donne.



DIBATTITO. Rivalutare la «severità amorosa» come base per il pensiero critico. Faccia a faccia a Roma l’educatore tedesco e lo storico italiano
Politica & scuola, più disciplina!


DA ROMA PAOLA SPRINGHETTI
Avvenire, 31.10.2007
Bernhard Bueb, 35 anni da educatore (a scuola, in famiglia e nella società) e un messaggio da consegnare: «Per favore, torniamo alla disciplina». Lo ha affidato ai suoi libri, l’ultimo dei quali, Elogio della disciplina, è stato tradotto l’anno scorso in Italia da Rizzoli. E lo dice nei suoi numerosi interventi nelle scuole, nelle conferenze che tiene, ai convegni. Ieri, per esempio, è stato protagonista con Ernesto Galli della Loggia di quello su «Il principio di autorità», organizzato a Roma dal Centro di Orientamento politico «Gaetano Rebecchini» e moderato da Eugenia Roccella.
Per Bueb la disciplina non è un’opzione possibile tra le altre. «È un diritto – spiega –, perché senza non si può sviluppare cultura. Cioè non si potrà un domani svolgere una professione, ma soprattutto non si potrà fare qualcosa di buono in nessun ambito della cultura».
Eppure negli ultimi decenni la disciplina è stata rifiutata, quasi temuta. «Il problema è che nel XX secolo abbiamo avuto, sia in Germania che in Italia, il culto della disciplina fine a se stessa.
Ma la disciplina non ha senso se non ha uno scopo, che è l’autodisciplina: è quest’ultima il presupposto per ogni pensiero critico, umanistico o scientifico che sia». Il problema, insomma, non è delle nuove generazioni, ma degli adulti. Ne è una prova il fatto che, quando Bueb è chiamato nelle scuole a parlare di questo tema, nessuno pensa di tirargli i pomodori, anzi: «Le nuove generazioni sono molto più aperte a questi discorsi delle precedenti, che ricordano la storia e ne sono condizionate.
Gli studenti sono sostanzialmente d’accordo con me quando dico 'no' ad una educazione democratica nella scuola, e chiedono insegnanti più severi e genitori che facciano più richieste e siano più coerenti». Bueb non è l’unico che, negli ultimi anni, alza la voce per chiedere più decisione nell’imporre le regole.
Tanto che viene un dubbio: non sarà che, poiché il mondo adulto non riesce a capire e soprattutto a convincere i giovani, deve ricorrere a una maggiore disciplina per tenerli sotto controllo? I valori, però, non si impongono... «La disciplina, in sé, non è un valore, ma un metodo – obietta Bueb –. Verità, giustizia, pace, famiglia, libertà: questi sono valori, e vanno trasmessi con l’esempio. Spero che gli adulti tornino disponibili a porsi come esempi, perché la sofferenza suscitata dalla mancanza di modelli è insostenibile». Resta un pericolo: che a forza di disciplina si tirino su persone capaci di obbedire, ma non di assumersi responsabilità. «Il pericolo di abusare di disciplina e autorità c’è sempre. Ogni educatore ha sui ragazzi un potere che è legittimo solo se viene esercitato per amore. A chi diceva che la disciplina era la virtù dei kapò, Helmut Schmidt rispondeva che era anche la virtù di chi aveva aperto i lager e liberato i prigionieri. E d’altra parte ogni esagerazione in pedagogia è male. Lo è sia se ci si arrocca sul versante della disciplina, sia se ci si ferma solo a quello dell’amore. La via maestra è quella intermedia».
Per questo non è giusto dividere i compiti, come invece qualcuno fa, assegnando alla scuola la disciplina, alla famiglia l’affetto e la protezione: «La disciplina in realtà inizia in famiglia, perché inizia per amore. Anche l’amore senza disciplina non è amore, tant’è vero che porta alla gelosia e all’egoismo. Perfino l’erotismo, senza una forma giuridica, diventa un peso insostenibile per la persona. Per questo dico che amore e disciplina sono una dicotomia che inizia in famiglia e continua a scuola». Il problema della disciplina, però, è assai ampio, e travalica i confini di scuola e famiglia.
Ernesto Galli della Loggia lo allarga a tutta la società, investendo nella sua riflessione i meccanismi fondanti della democrazia: «L’unica possibilità di esistere, per la democrazia, è avere una base di consenso, per questo è inevitabilmente poco incline a dare grande spazio alla disciplina». È per questo che la crisi del sistema educativo ha investito un po’ tutti i Paesi occidentali. «Nel rapporto educativo è inevitabile che chi insegna sia superiore a chi apprende, e che questi lo riconosca. Non c’è eguaglianza insomma, ma è proprio grazie a questo che si possono far crescere personalità autonome, libere, responsabili. Ed è di queste che la democrazia ha bisogno, solo che la scuola democratica non riesce a formarli». Un paradosso, ma inevitabile. «Sia la democrazia sia il capitalismo per sopravvivere hanno bisogno – spiega della Loggia – che alcune parti della società siano sottratte a se stessi. Ci sono merci che non possono essere comprate e vendute. E la scuola non può essere democratica». Ma neanche la famiglia, visto come «la figura del padre è stata messa in crisi dalla democrazia». Prova ne sia che la fine della disciplina «ha fatto emergere il narcisismo e il branco: i giovani, che per definizione non sono formati, trovano sicurezza nel gruppo.
Ma così sono destinati a crescere gregari. Non è un caso che tutti i dittatori hanno sempre trovato accesi ed entusiasti sostenitori nei giovani». Il problema è, dunque, «trovare il consenso su quelle parti di società da tenere al riparo dal meccanismo del consenso democratico».



Brano tratto da "Vicka di Medjugorje. La sofferenza e la gioia"
Di Livio Fanzaga
Editrice Shalom

Il Paradiso è un luogo

PADRE LIVIO: Ritorniamo in paradiso. È un luogo?
VICKA: Certamente. Si entra attraverso una grande porta. Noi siamo entrati e siamo avanzati solo di qualche metro.
PADRE LIVIO: Questa mattina ho sentito che hai dato una bella risposta a un gruppo di pellegrini che ti avevano chiesto se c'è più gente in paradiso o all'inferno.
VICKA: Oh, in paradiso!
PADRE LIVIO: C'è molta più gente in paradiso?
VICKA: Molta di più, grazie a Dio.
PADRE LIVIO: Si può vivere già un anticipo di paradiso qui su questa terra?
VICKA: Sì, anche la Madonna dice che qui sulla terra si può già anticipare il paradiso, il purgatorio e l'inferno. Dipende da quello che noi scegliamo.
Il Paradiso si può vivere già su questa terra
PADRE LIVIO: In che modo si può sperimentare il paradiso ià qui sulla terra?
VICKA: Dio non ci chiede così tanto. Si tratta di vivere il suo messaggio, di trasmettere la gioia e l'amore e fare tutte queste cose semplici.
PADRE LIVIO: Insomma basterebbe mettere in pratica i comandamenti.
VICKA: Certo, vivere i comandamenti e condurre una vita cristiana normale, senza cose particolari.



Il Purgatorio sofferenza e speranza
PADRE LIVIO: Adesso parliamo del purgatorio
VICKA: Anche il purgatorio è un grande spazio, ma li non si vedono le persone, ma soltanto una grande nebbia, dove si sente che le persone soffrono. La Madonna ci ha detto che le persone che si trovano in purgatorio aspettano le nostre preghiere per poter entrare presto in paradiso.
PADRE LIVIO: Secondo te questa grande nebbia, che non è né buio né luce, che cosa potrebbe significare?
VICKA: Vedo una speranza.
PADRE LIVIO: Ci sono dei mistici, come ad esempio Santa Caterina da Genova, che affermano che in purgatorio c'è sofferenza e gioia insieme. C'è sofferenza perché le anime sono lontane da Dio, ma c'è anche gioia perché sanno che un giorno lo vedranno.
VICKA: A noi la Madonna ha fatto vedere la loro sofferenza.
PADRE LIVIO: Però una sofferenza con la speranza.
VICKA: La Madonna ha detto che noi possiamo aiutarle con le nostre preghiere. Dipende dalle nostre preghiere se possono entrare prima in paradiso.
PADRE LIVIO: Mi pare molto importante sottolineare che aiutare le anime del purgatorio con le preghiere è una grande carità.
VICKA: Sì, è vero, è una grande carità.
PADRE LIVIO: La Madonna vi ha detto chi va in purgatorio?
VICKA: No, non lo ha spiegato. Ci ha dato solo la possibilità di vedere.
PADRE LIVIO: È un luogo di purificazione, dove vanno le persone ancora imperfette, che non sono ancora pronte per andare in paradiso.
VICKA: Si.
PADRE LIVIO: Anche il purgatorio è un luogo?
VICKA: Si è un luogo, ma diverso dal paradiso. [31]
[31] Anche per quanto riguarda la descrizione del purgatorio va detto che è teologicamente esatta. È un luogo di purificazione, dove le anime espiano e si preparano per il paradiso. Noi, che siamo la Chiesa pellegrinante sulla terra, possiamo abbreviare il tempo della loro sof­ferenza mediante le nostre preghiere.



L’inferno è eterno
PADRE LIVIO: Adesso parlaci dell'inferno.
VICKA: L’inferno è un grande spazio con in mezzo un grande fuoco. Si vedono le persone che prima di precipitare nel fuoco sono normali, ma quando entrano nel fuoco si trasformano in orribili animali. È una cosa così spaventosa che non è possibile descriverla.
PADRE LIVIO: Si sentono bestemmie?
VICKA: Sì, tantissime bestemmie, diverse, che tutti gridano nello stesso momento...
PADRE LIVIO: Odiano Dio?
VICKA: Odiano Dio con tutti se stessi.
PADRE LIVIO: Ci sono alcuni che sostengono che all'inferno c'è ancora possibilità di conversione.
VICKA: I peccatori qui sulla terra hanno la possibilità di convertirsi. Ma per quelli che sono all'inferno non si può fare niente. Per loro non c'è più possibilità perché le persone che si trovano all'inferno sono andate di loro propria volontà, perché hanno voluto.
PADRE LIVIO: Senti, Vicka, mi permetto di farti una domanda un po' particolare...
VICKA: Fai pure, per me non c'è problema.
PADRE LIVIO: In che modo la Madonna guarda a quelli che si trovano all'inferno: con pietà?
VICKA: La Madonna guarda sempre con pietà, ma sono loro che guardano con odio.
PADRE LIVIO: Questo odio è una sofferenza per Dio?
VICKA: Certo, per Dio è una sofferenza. Dio ha dato la libertà e loro hanno scelto contro di lui. Dio non manda nessuno all'inferno, ma ci va chi vuole andarci.
PADRE LIVIO: Alcuni dicono che un inferno eterno sarebbe una punizione troppo grave...
VICKA: L’inferno è eterno. [32]
[32] Anche la descrizione dell'inferno, che ripropone le immagini classiche al riguardo, è perfettamente coerente con l'insegnamento della fede. La trasformazione degli uomini in bestie sta a indicare l'abbrutimento e la perversione dell'essere umano, che ha scelto di allonta­narsi da Dio, percorrendo la via del peccato fino alle estreme conseguenze. Le bestemmie stanno a indicare che la situazione esistenziale dei demoni e dei dannati è quella di un odio implacabile contro Dio. Viene inoltre ribadita l'eternità dell'inferno e il fatto che esso è in ultima istanza la conseguenza di una libera scelta.
È molto significativo che a Fatima come a Medjugorje la Madonna abbia voluto sottolineare l'esistenza di questa tremenda realtà, oggi in vari modi negata od oscurata da silenzi poco evangelici.
PADRE LIVIO: Perché, a tuo parere, La Madonna ha portato te e Jakov a vedere l'aldilà?
VICKA: Perché tantissimi non ci pensano o pensano che con la morte finisce tutto. La Madonna ha detto che questo è un grande sbaglio, perché noi qui sulla terra siamo solo passeggeri e dopo la morte continua un'altra vita.



La vita non finisce con la morte

PADRE LIVIO: Purtroppo oggi ci sono molte persone che muoiono senza fede e senza preghiera e anche i loro parenti, che magari si trovano in casa con loro, non li aiutano spiritualmente e li lasciano morire come se fossero degli animali... Come dobbiamo aiutare i nostri malati ad affrontare la morte?
VICKA: Dobbiamo stare loro vicino con tanto amore. È importante la nostra presenza e la nostra preghiera. Anche se la nostra preghiera è fatta in silenzio, Dio la ascolta. [33]
[33] Ho accompagnato in alcune occasioni Vicka a visitare i moribondi. Si avvicina ad essi con grande amore e col suo luminoso sorriso, dando con la sua sola presenza un grande conforto. Quando è possibile prega insieme all'ammalato e ai parenti, diversamente prega in silenzio.
PADRE LIVIO: Dio infatti può toccare i cuori con la grazia...
VICKA: Lui sa il momento e tocca anche all'ultimo istante.
PADRE LIVIO: Certo, fino all'ultimo momento uno si può salvare.
VICKA: Sì, basta che uno possa dire "Gesù..."
PADRE LIVIO: Secondo te sono tanti quelli che muoiono senza aprirsi a Dio?
VICKA: Qui da noi la situazione è diversa. C'è più fede e quando andiamo a visitare i malati ci aspettano col cuore e insieme recitiamo il rosario... Qui è tutto più facile. PADRE LIVIO: È più facile perché c'è più fede.
VICKA: Nei piccoli paesi è così, ma nelle grandi città anche qui è tutto diverso.
PADRE LIVIO: Il nostro dovere è quindi quello di visitare gli ammalati e pregare per loro, anche se non sempre è possibile pregare con loro.
VICKA: Ci sono tante possibilità per aiutare gli ammalati. Ad esempio anche con questa trasmissione noi vogliamo ricordare tutti i lontani, i sofferenti, gli ammalati, quelli che non hanno ancora conosciuto Dio e il suo amore. Ecco noi preghiamo per tutti loro. Quando nella preghiera ricordiamo queste persone, poi Dio avvicina anche loro.
PADRE LIVIO: Dunque la Madonna, come nostra Madre, vuole salvare tutte le anime e presentarle a Dio.
VICKA: Tutte, certo.
PADRE LIVIO: Noi come possiamo aiutarla?
VICKA: Noi possiamo aiutarla con le nostre preghiere. Le nostre parole spesso allontanano ancora di più le persone.
Con la preghiera fatto col cuore e con il nostro esempio la Madonna può toccare tutti i cuori.



Aiutiamo la Madonna a salvare le anime
PADRE LIVIO: Vuoi dire che è inutile parlare quando uno non vuole ascoltare?
VICKA: Quando la gente è disponibile, allora dob­biamo essere pronti a parlare. Ma quando uno è ostile, è meglio tacere e pregare.
PADRE LIVIO: Quindi la prima parola deve essere il nostro esempio.
VICKA: Sì, innanzitutto dobbiamo parlare con la nostra vita.
PADRE LIVIO: È la nostra vita che attira l'attenzione.
VICKA: Quando c'è l'attenzione e loro vogliono sapere, noi dobbiamo essere pronti a rispondere. [34]
[34] Qui Vicka esprime un atteggiamento comune ai sei veggenti di Medjugorje, i quali sono pronti a comunicare la loro esperienza e a testimoniare i messaggi della Madonna, ma senza forzature e senza atteggiamenti propagandistici. Padano quando richiesti.
PADRE LIVIO: La Madonna ha indicato solo la preghiera per aiutare gli altri o anche altri mezzi?
VICKA: La preghiera è la prima cosa, il mezzo più forte. Con la preghiera si possono ottenere le grazie più grandi. La Madonna però ha detto che la preghiera deve essere fatta col cuore. La Madonna vuole che il nostro cuore sia libero.
PADRE LIVIO: Che cosa vuol dire "avere un cuore libero"?
VICKA: Vuol dire liberarlo da tutto il male che abbiamo dentro e purificarlo da tutto ciò che ci disturba. Allora siamo pronti per una preghiera del cuore.



La Madonna chiede sacrifici
PADRE LIVIO: Mi pare però che la Madonna chieda anche i sacrifici.
VICKA: Certamente. Alle persone malate la Madonna non chiede il digiuno a pane e acqua ma dei piccoli sacrifici.
PADRE LIVIO: Chiede anche l'offerta della sofferenza.
VICKA: Offrire la sofferenza è la cosa che mi è più gradita. Piuttosto ognuno di noi ha qualcosa che gli piace in modo particolare. Ecco, bisogna offrire quella.
PADRE LIVIO: La Madonna non chiede mai i fioretti? A Fatima chiedeva fioretti e sacrifici per la conversione dei peccatori.
VICKA: Ma certo che li chiede. Ci sono tanti modi per fare dei sacrifici. Dipende da noi. Incominciamo però col digiuno a pane e acqua che la Madonna chiede due volte alla settimana per il dono della pace.
PADRE LIVIO: Indubbiamente è un grosso sacrificio.
VICKA: Ma non bisogna dire: "Questo è troppo", "Ma ora come faccio?". "Ma poi mi gira la testa" e cose di questo genere. Se fai un sacrificio, non dire niente, non farti delle domande, ma fallo in silenzio, con tranquillità e per amore di Dio e della Madonna. Se tu incominci a sollevare dubbi o problemi, è meglio non incominciare.
PADRE LIVIO: Molte volte siamo noi stessi che dobbiamo scegliere dei sacrifici da fare. Ma a volte è Dio stesso che ci manda le mortificazioni e i sacrifici e in questo caso dobbiamo accettarli con amore.
VICKA: Sì, certamente. Quando Dio ci manda qualche sofferenza o sacrificio lui sa perché te li manda. Dio non manda niente per niente. Anche per quanto riguarda me, quando Dio mi manda qualche cosa, io devo rispondere per i suoi piani.
Così, quando manda qualcosa a te, tu devi rispondere.



La dittatura del relativismo, vero problema della crisi moderna
Il prof. Roberto de Mattei denuncia i pericoli di un mondo che tenta di cancellare Dio
ROMA, martedì, 30 ottobre 2007 (ZENIT.org).- La dittatura del relativismo culturale, morale e religioso costituisce il vero problema della crisi moderna, sostiene il prof. Roberto de Mattei, docente di Storia Moderna all’Università di Cassino e diStoria del Cristianesimo e della Chiesa all’Università Europea di Roma.

A questo tema il docente ha dedicato un libro dal titolo “La dittatura del relativismo” (Solfanelli editore, 128 pagine, 9 Euro), che riprende l'espressione formulata dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger alla vigilia della sua elezione al soglio pontificio, nell’omelia per la Missa Pro Eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005.

Il volume raccoglie relazioni e interventi svolti dall’autore, in Italia e all’estero, negli ultimi due anni.

Intervistato da ZENIT il docente di storia, autore di tanti libri sulla storia della cristianità, ha spiegato che “il grande dibattito del nostro tempo, non è di natura politica o economica, ma culturale, morale e, in ultima analisi, religiosa”.

“Si tratta – ha precisato de Mattei – del conflitto tra due visioni del mondo: quella di chi crede nell’esistenza di principi e di valori immutabili, iscritti da Dio nella natura dell’uomo, e quella di chi ritiene che nulla esista di stabile e permanente, ma tutto sia relativo ai tempi, ai luoghi e alle circostanze”.

“Se però non esistono valori assoluti e giudizi oggettivi – ha commentato de Mattei – la volontà di potenza degli individui e dei gruppi diventa l’unica legge della società e la rivendicazione della libertà dell’uomo si capovolge in una ferrea dittatura, peggiore di ogni altra tirannia della storia”.

Secondo il docente di storia, già Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), “tra le espressioni più pericolose di 'dittatura del relativismo' che minacciano l’Europa e il mondo si interseca il ruolo di alcuni uffici delle istituzioni internazionali come ONU e Unione Europea”.
Per de Mattei, a seguito del fallimento di alcuni obiettivi politici, parti di queste istituzioni “si sono infatti trasformate in veri e propri laboratori intellettuali dove si distillano 'nuovi diritti', opposti a quelli tradizionali”.

“La dittatura del relativismo – è scritto nel libro – è quella che vuole imporre leggi che neghino la tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale; e che pretendano di sostituire la famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, con forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, quali il matrimonio omosessuale – ribattezzato Pacs in Francia e Dico in Italia – giungendo al punto non solo di elevare il delitto a diritto, ma addirittura di punire come un reato la difesa del bene e la condanna del male”.

“L’opposizione alla dittatura del relativismo – ha detto a ZENIT il docente – ha il suo passaggio necessario nella riscoperta della legge naturale e divina che ha costituito il fondamento della civiltà cristiana, formatasi nel Medioevo in Europa e da qui diffusasi nel mondo intero”.

A questo proposito è affermato nel libro che “la legge naturale è una legge oggettiva iscritta nella natura stessa dell’uomo, non di questo o quell’uomo, ma nella natura umana considerata in sé stessa, nella sua permanenza e la sua stabilità”.

De Mattei fa riferimento alla “legge naturale”, a cui si è richiamato anche recentemente Benedetto XVI nel suo discorso alla Commissione Teologica del 5 ottobre scorso, sottolineando che essa “costituisce la base dell’accordo necessario tra fede e ragione, e quindi tra ordine spirituale e ordine temporale. Non ci si può tuttavia accontentare della sola legge naturale, così come non è sufficiente un richiamo puramente storico all’identità cristiana dell’Europa”.

In conclusione de Mattei sostiene che “la rivelazione soprannaturale non era di per sé necessaria e l’uomo non vi aveva alcun diritto, ma poiché Dio l’ha data e promulgata, il cristiano non può accontentarsi di una società fondata sulla legge naturale: deve desiderare la conversione al cristianesimo del mondo intero”.




I numeri e la memoria


La lezione di Vasilij Grossman sul totalitarismo
Il pericolo della mistificazione

1 commento:

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good